Rubriche 2021

“Il flauto magico”, “Falstaff” e “Turandot”: semplici opere o testamenti massonici?

Squadra, compasso e note musicali. Le opere liriche sono piene zeppe di allusioni e simboli, ma ce ne sono tre che vengono messe sullo stesso piano quando si vuole parlare delle presunte “opere massoniche”. Si tratta de “Il Flauto Magico”, “Falstaff” e “Turandot”. Oltre ad essere l’ultimo lavoro di Wolfgang Amadeus Mozart, Giuseppe Verdi e Giacomo Puccini, nasconderebbero dei chiari riferimenti alla massoneria, una sorta di testamento per far intuire l’appartenenza all’associazione. Ma cosa c’è di vero? L’unica certezza è che si sta parlando dell’opera conclusiva dei tre compositori, tutto il resto deve invece essere preso con le pinze e analizzato senza la pretesa di arrivare alla verità.

“Il Flauto Magico” è senza dubbio l’opera con la simbologia più marcata dal punto di vista massonico. Cosa c’è in comune tra le vicende di Papageno e della Regina della Notte e le logge? Le regie teatrali hanno spesso enfatizzato questo aspetto: secondo quanto affermato dai massoni, l’ouverture è un immediato e chiaro simbolo, visto che le prime battute rappresenterebbero i tre colpi alla porta del tempio della luce, in pratica l’iniziazione alla massoneria di Tamino. Il numero 3 accompagna seconda questa visione tutta l’opera (i tre fanciulli che consegnano il flauto d’oro tanto per fare un esempio), un’alta coincidenza che non sarebbe casuale.

Il percorso massonico di Tamino si completa dopo l’ammissione ai riti di Iside e Osiride, necessari per salvare Pamina. Il culmine viene raggiunto all’interno del tempio di Sarastro: dunque i riti e le invocazioni vengono lette dai sostenitori di questa teoria in maniera inequivocabile, ma il Singspiel di Mozart (rappresentato per la prima volta a Vienna il 30 settembre 1791) è stato considerato anche un lavoro dall’elevato contenuto illuminista, dunque le valutazioni sono diverse. Il punto di vista è sicuramente affascinante e per lo meno cerca di emancipare l’ultima fatica mozartiana dal ruolo di semplice favoletta, come è troppo spesso accaduto.

Cosa avrebbe invece di massonico “Falstaff”? La commedia lirica su libretto di Arrigo Boito trionfò per la prima volta il 9 febbraio 1893 alla Scala di Milano. Non è chiara l’appartenenza di Giuseppe Verdi alla massoneria, ma in molti hanno letto delle chiare allusioni nei tre atti ispirati da William Shakespeare. In particolare, il presunto testamento sarebbe evidente nel momento in cui lo stesso Falstaff è vittima di uno scherzo e si presenta a un appuntamento travestito da cacciatore nero. A individuare i riferimenti è stato Luca Tessadrelli, compositore e docente al Conservatorio di Parma, fortemente interessato al tema musicale della scena, i dodici rintocchi che vengono a svilupparsi con la voce del protagonista in 13 battute.

Tessadrelli non è stato convinto dal fatto che Verdi abbia aggiunto una battuta in più, ricordando come il 12 sia un numero pieno di significati. La battuta “di troppo” sarebbe la chiara allusione al superamento di un ciclo per farne cominciare uno nuovo, una vera e propria rinascita in poche parole. L’opera si conclude, poi, con una fuga, mai tentata prima dal compositore di Busseto. In base a questa ricostruzione del docente, la struttura musicale di “Falstaff” non sarebbe altro che un omaggio al grande architetto dell’universo con la forma “architettonica” per eccellenza per quel che riguarda la musica.

E che dire di Puccini e “Turandot”? Anche nella storia della principessa che fa giustiziare i suoi pretendenti in caso di risposta sbagliata a tre indovinelli ci sarebbe una spiegazione massonica molto precisa. La prima rappresentazione è una delle più famose del melodramma italiano, visto che avvenne due anni dopo la morte del compositore grazie a un faticoso e complicato lavoro di completamento. Il numero 3 è presente anche in questo caso: oltre ai già citati indovinelli, infatti, non bisogna dimenticare i tre ministri del regno (Ping, Pong e Pang) e le tre prove che Calaf è costretto a superare. Tra l’altro, Franco Alfano, il musicista incaricato di terminare la partitura, era iscritto a una loggia massonica di Napoli (aveva raggiunto il 33° grado del rito scozzese antico).

La presenza della luna, così come avviene ne “Il Flauto Magico” potrebbe confermare l’ipotesi del riferimento alla massoneria, anche se parlare di testamenti non è corretto. In effetti, soltanto “Falstaff” fu l’ultima e “consapevole” opera di una carriera: Verdi terminò volontariamente la sua produzione melodrammatica con questo titolo, mentre Mozart e Puccini ultimarono i loro lavori senza sapere che sarebbero stati gli ultimi della loro vita. Il compositore toscano non fu nemmeno in grado di completare la musica, mentre il genio di Salisburgo morì in circostanze misteriose e a neanche 36 anni due mesi dopo il debutto viennese.