2010

Note di viaggio: Pesaro e i luoghi di Rossini

Giovacchino Antonio Rossini nasce al primo piano di un’abitazione accanto alla Cattedrale di Pesaro il 29 febbraio 1792, un bimbo così grazioso da essere soprannominato “il piccolo Adone” dagli amici di famiglia. Il padre Giuseppe, originario di Lugo di Romagna, arriva a Pesaro durante il Carnevale del 1789 e con l’aiuto di alcuni amici assume il posto di trombetta comunale.
Chiamato Vivazza per la sua simpatia, prende un alloggio in affitto nella stessa casa in cui abita un fornaio pesarese e ben presto sboccia l’amore con la figlia Anna, di professione modista. Il 26 settembre 1791 si celebra il loro matrimonio con estrema premura e dopo soli cinque mesi il piccolo Gioachino viene alla luce, nella nuova abitazione degli sposi, oggi conosciuta come Casa Rossini.
L’intero edificio di costruzione quattrocentesca, fortemente ristrutturato nei primi decenni del XVIII secolo, è dichiarato monumento nazionale nel 1904 ed è adibito a museo, con l’esposizione di importanti cimeli provenienti da collezioni pregevoli, tra cui la donazione di Alphonse Hubert Martel e l’acquisto di alcuni spartiti e manoscritti dalla proprietà di Lord St. Davids. La visita inizia dal primo piano, dove si trovano le due stanze abitate dalla famiglia Rossini, luogo di nascita del futuro Cigno di Pesaro. Qui sono esposte numerose stampe che ritraggono il compositore dall’età giovanile fino alla morte, oltre a intriganti caricature, anche di altri celebri personaggi dell’epoca. Sono inoltre ospitate alcune fotografie e due ritratti ad olio: il primo, di incerta attribuzione, mostra un Rossini giovane in abito da viaggio, mentre il secondo risale al periodo fiorentino, tra il 1848 e il 1855. Un ambiente del piano è dedicato alla musica, con alcuni importanti autografi e la spinetta probabilmente utilizzata da Gioachino nei primi anni di studi. La musica lo accompagna fin dalla prima infanzia, con il padre Giuseppe, suonatore di corno e tromba squillante e la madre Anna, cantante di discreta bravura, che si esibisce con successo nei teatri delle Marche e dell’Emilia Romagna tra il 1798 e il 1808. Il giovane Rossini apprende le prime nozioni musicali dai genitori, esibendosi anche come cantante e suonando in orchestra, per contribuire all’economia familiare, poi approfondisce gli studi a Lugo dopo il trasferimento avvenuto nel 1802, infine frequenta il Liceo Musicale di Bologna a partire dal 1806, ma lo abbandona dopo soli quattro anni per intraprendere la carriera teatrale, iniziata con la messinscena de La cambiale di matrimonio al Teatro San Moisè di Venezia.
Il piano terra della Casa Natale è interamente dedicato all’opera del pesarese, con stampe che ritraggono i più importanti interpreti rossiniani, molti dei quali nei costumi di scena di Geronio de Il turco in Italia, Elena de La donna del lago, Semiramide, Figaro e Rosina de Il barbiere di Siviglia, Otello e Desdemona, Tancredi, concludendo con i costumi degli ultimi capolavori: Moïse et Pharaon, Le siège de Corinthe, Le comte Ory, Guillaume Tell. Tra loro si trovano il soprano Isabella Colbran, prima moglie del compositore, Angelica Catalani, Henriette Sontag, il tenore Manuel Garcia e il soprano Maria Malibran, sua figlia, ai quali si deve lo sbarco della musica di Rossini negli Stati Uniti, il soprano Giuditta Pasta, ritenuta la maggiore cantante tragica del suo tempo, Giovan Battista Rubini, nominato “re dei tenori”, oltre a Laure Cinthie-Damoreau, autrice di un celebre metodo di canto. Di particolare interesse è anche un’immagine di Re Giorgio IV d’Inghilterra, voce di basso, compare di duetti con il Maestro, tenore e accompagnatore al pianoforte. Durante una loro esibizione, in seguito ad un’interruzione da parte del sovrano a causa di un errore, Rossini osserva: “Sire, voi avete ben diritto di fare tutto ciò che vi piace. Fate pure: io vi seguirò sino alla tomba!”. Dopo la breve parentesi londinese il compositore si trasferisce a Parigi, dove dirige il Théâtre Italien e una scuola di canto francese, esercitando una profonda influenza, introducendo la dolcezza, la scorrevolezza e la leggerezza dello stile italiano. Nella capitale d’oltralpe vanno in scena i suoi ultimi capolavori, prima del ritiro dalla mondanità alla vita privata. Torna in Italia nel 1836, dove vive tra Bologna e Firenze, ma si trasferisce definitivamente a Parigi nel 1855, dove trascorre gli ultimi anni accanto alla seconda moglie Olympe Pélissier, sposata nel 1846 dopo la morte della Colbran.

Gioachino Rossini

Gioachino Rossini muore a Parigi il 13 novembre 1868 nella sua villa di Passy, presso il Bois de Boulogne, circondato dall’affetto della compagna e degli amici. Nella stanza dedicata alla sua morte, al primo piano della Casa Natale, sono conservate alcune fotografie dell’ultima parte della sua vita, della villa di Passy, dei funerali solenni e della ricognizione della salma, effettuata nel 1887, in occasione della traslazione in Italia per la tumulazione presso la Chiesa di Santa Croce a Firenze. Nel testamento redatto dieci anni prima della morte è scritto: “nomino ed istituisco come erede usufruttuaria la mia carissima ed amatissima moglie, vita sua natural durante. Quale erede della proprietà nomino il Comune di Pesaro, mia patria, per fondare e dotare un liceo musicale in quella città dopo la morte di mia moglie”.
A seguito della volontà e del lascito testamentario del Maestro, la Città di Pesaro istituisce il Liceo Musicale, individuando la sede nell’imponente Palazzo Olivieri, prestigioso edificio settecentesco opera di Gianandrea Lazzarini, autore – accanto ad alcuni suoi allievi – anche di numerosi affreschi e decori neoclassici degli interni. Di notevole importanza è la Sala dei Marmi, famosa per la particolare tecnica pittorica, che riproduce con risultati realistici colonne e decorazioni marmoree in tutte le pareti. Oltre la pregevole stanza è situato il Tempietto Rossiniano, dove sono conservati autografi, lettere, documenti, piccoli oggetti e le onorificenze che Rossini ricevette nel corso della sua vita da sovrani, governi ed associazioni di tutto il mondo. Di particolare interesse sono le partiture originali ereditate, relative ad alcune delle opere rappresentate per la prima volta a Napoli: Elisabetta, regina d’Inghilterra il 4 ottobre 1815, Otello, ossia il Moro di Venezia il 4 dicembre 1816, Armida l’11 novembre 1817, La donna del lago il 24 ottobre 1819, Maometto II il 3 dicembre 1820 e Adina il 22 giugno 1826. Vi sono inoltre due diverse versioni, pianistica ed orchestrale, della Petite Messe Solennelle, suo ultimo e straordinario capolavoro sacro musicato nel 1863, e tutte le composizioni realizzate nel periodo parigino e note come Péchés de vieillesse.
In una teca è custodito anche il fascicolo nel quale Giuseppe Rossini raccolse le lettere scritte dal musicista ai genitori dal 18 febbraio 1812 al 22 giugno 1830, periodo che ricopre quasi tutta la carriera teatrale del compositore, oggi documentate e pubblicate in un volume edito dalla Fondazione Rossini. Nel tempietto si trova altresì l’originale dell’estremo ritratto, realizzato sul letto di morte del Cigno dal grande disegnatore Gustave Doré, suo intimo amico e frequentatore delle serate musicali che si tenevano nell’appartamento parigino del Maestro.
Nel 1892 Palazzo Olivieri è impreziosito con la costruzione di un Auditorium intitolato al compositore veronese Carlo Pedrotti, chiamato a dirigere la scuola di musica. La sala, dotata di un organo a canne, con pavimentazione lignea, è particolarmente nota per l’eccellente acustica. Lo spettacolo più rilevante ospitato all’Auditorium Pedrotti è certamente Il viaggio a Reims nel 1984, firmato da Luca Ronconi e con la direzione di Claudio Abbado, riportato alla luce per la prima volta in epoca moderna dopo la scomparsa della partitura originale ai tempi della sua prima messinscena parigina nel 1825. Durante il periodo della stesura musicale il Cigno di Pesaro scrive al “Caro Padre […] Io sto componendo una Cantata per L’Incoronamento del Rè di Francia che si eseguirà il mese venturo” mentre dopo la rappresentazione la moglie Isabella ne dà notizia al suocero: “Caro Papà, questa Solo e per farvi sapere che l’opera del nostro Gioachino andata benone che il Ré è venuto e l’a detto le Cose le più amabile che sia possibile e che adesso speriamo che il Ré faccia qualche Cosa piacevole per Rossini” alludendo alla tanto desiderata Croix de la Légion d’honneur, ricevuta soltanto nel 1829.
Nel 1940 il Liceo Musicale è statalizzato e assume la denominazione di Conservatorio, mentre l’Ente Morale gestore dell’eredità rossiniana si trasforma in Fondazione, con lo scopo non lucrativo di sostenere l’attività del Conservatorio, studiare e diffondere nel mondo la figura, la memoria e le opere di Gioachino Rossini.
Luogo d’elezione per la produzione e la messinscena delle opere di Gioachino Rossini è il teatro a lui intitolato, costruito all’inizio del XVII secolo ed inaugurato il 23 febbraio 1637 con il nome di Teatro del Sole. Oggetto di numerose rivisitazioni architettoniche, prima con la costruzione di tre ordini di palchi nel 1694, poi con la ristrutturazione dell’ingresso da parte di Tommaso Bicciaglia nel 1788 – di cui oggi resta l’antico portale bugnato dell’architetto Filippo Terzi – infine con il rinnovo dei decori della sala nel 1790 ad opera del pittore veneziano Andrea Giuliani, l’edificio è stato interamente riedificato tra il 1816 e il 1818 sotto la guida di Pietro Ghinelli di Senigallia, assumendo la tipica struttura neoclassica ottocentesca del teatro all’italiana.
Tra il 1817 ed il 1818 al milanese Angelo Monticelli è affidato il compito di dipingere il sipario, che raffigura La fonte di Ippocrene, mentre Rossini è incaricato dei festeggiamenti per la riapertura. Il Teatro Nuovo è inaugurato il 10 giugno 1818 con La gazza ladra, opera semiseria reduce dal grande successo scaligero dell’anno precedente, e il ballo La vendetta di Ulisse di Lorenzo Panzieri. Due giorni dopo il compositore scrive al “Caro Papà. […] La Nostra apertura è andata alle Stelle e tanto l’Opera che il ballo hanno fatto furore. Io fui Accompagnato a casa con Facie, e mezzo paese dietro alla carrozza Gridando Evviva il Nostro Rossini. Siate dunque contento che tanto le vostre, che le mie cure sono riescite”. Il Maestro vive l’esperienza del rientro nella città natale accanto all’amatissima madre, che non perde l’occasione per compiacersi del figlio con i concittadini e con tutti i parenti. Gioachino ne dà notizia al padre: “La Mamma sta bene ed’è contentissima”.
Oggi il Teatro Rossini, così nominato a partire dal 1855, è sede della prestigiosa Stagione Concertistica, arrivata alla sua cinquantesima edizione, oltre che del celeberrimo Rossini Opera Festival.

Gioachino Rossini

L’idea di riscoprire l’opera omnia del Maestro nasce nel 1969 al Teatro alla Scala di Milano, quando Gianfranco Mariotti assiste alla prima esecuzione, diretta da Claudio Abbado, dell’edizione critica de Il barbiere di Siviglia, curata da Alberto Zedda – accortosi, tempo prima, di numerose ingerenze non originali nella partitura e ormai entrate nella tradizione – per volere dello stesso editore Ricordi.
Nel 1980 il Comune di Pesaro istituisce il Rossini Opera Festival, con l’intento di recuperare e restituire alle scene il patrimonio sommerso del compositore, affiancando e proseguendo in campo teatrale l’attività scientifica della Fondazione Rossini con un originale laboratorio interattivo di musicologia applicata.
La sede del Festival, che da oltre trent’anni porta in scena le lezioni autentiche dei capolavori del Cigno di Pesaro e i ritrovamenti dei titoli sconosciuti, con cantanti e artisti di levatura mondiale, è ubicata nello splendido Palazzo Gradari, di progettazione cinquecentesca riconducibile forse a un disegno dell’architetto ducale Filippo Terzi, dotato di un impianto a corte e di una facciata secentesca. Al piano terra, accanto all’ingresso laterale, è situata la Berlina Mosca, raro esempio di carrozza di gala settecentesca, donata alla città dalla marchesa Vittoria Toschi Mosca.
Tutta la documentazione di cui dispone la Fondazione Rossini, relativa al celebre compositore e il suo tempo, è messa a disposizione di studiosi, ricercatori, appassionati o semplici curiosi, nella nuova biblioteca inaugurata nel 2007 presso l’antico Palazzo Montani Antaldi, sede della Fondazione Cassa di Risparmio di Pesaro.
Nato dall’accorpamento progressivo, avvenuto tra il 1555 e il 1785, di alcuni edifici preesistenti acquistati dalla nobile famiglia Montani, il palazzo progettato in stile neoclassico dall’architetto Tommaso Bicciaglia, allievo di Gianandrea Lazzarini, presenta decorazioni pittoriche nelle stanze del piano nobile e di rappresentanza eseguite a guazzo tra il 1777 e il 1781, che si ispirano in parte alle storie dell’Eneide, ad imitazione del Palazzo Reale di Torino, a suggellare l’attività dei Montani alla corte sabauda. Pertanto gli affreschi raffigurano Il commiato di Enea da Anchise e L’ingresso di Enea nell’Ade, L’allegoria del matrimonio – riferita all’unione di Carlo Emanuele IV di Savoia con Maria Clotilde di Francia – e Lo stemma di Casa Savoia, oltre ad Apollo e Atena, Le sfingi, Le virtù, L’estate e l’autunno e La stanza del medaglione. Particolarmente significative sono la stanza delle Raffaellesche, ispirate alle Logge Vaticane, e la sala delle Colonne, caratterizzata da una serie di colonne e stucchi di preziosa eleganza. Al secondo piano sono le decorazioni de La Pace e la Giustizia e La stanza di Orfeo.
Le collezioni d’arte della Fondazione Cassa di Risparmio di Pesaro, ospitate nel palazzo, documentano la storia del territorio con importanti dipinti, sculture, ceramiche, disegni, incisioni e carte geografiche. Si conservano opere pittoriche marchigiane dal Quattrocento all’Ottocento – tra cui alcune tele di Giovanni Francesco Guerrieri, Simone Cantarini e Gianandrea Lazzarini – e italiane dal Quattrocento al Settecento – con un Tintoretto e un Brueghel – oltre ad un’ampia raccolta di dipinti novecenteschi. Unica al mondo si può definire la raccolta di ceramica medievale pesarese, risalente al XIV e XV secolo, avvalorata dalla presenza di maioliche rinascimentali. Sono presenti anche capolavori con decori al ticchio e alla rosa di Pesaro, principalmente del XVIII secolo, oltre a pezzi di fine Ottocento ed inizi Novecento, con il revival dell’istoriato cinquecentesco a raffaellesche e scene mitologiche di gusto manieristico. Tra i disegni si trovano La vocazione di Sant’Andrea di Federico Barocci e un gruppo di cinquanta studi, prove e bozzetti di Lazzarini. Tra le incisioni L’Annunciazione di Barocci è certamente la più celebre, mentre Giove, Nettuno e Plutone che fanno omaggio delle loro corone alle armi del cardinale Borghese di Simone Cantarini è indubbiamente la più rara, di cui si conosce con certezza l’esistenza soltanto di un altro esemplare, conservato all’Albertina a Vienna. Nella collezione di carte geografiche spiccano certamente le acqueforti del XVI e XVII secolo, tra cui la prima veduta di Pesaro a stampa di Georg Hoefnagel.

Gioachino Rossini

Istituiti nel 1920 e collocati nel 1936 a Palazzo Toschi Mosca, sobria costruzione tardo cinquecentesca con uno sviluppo architettonico risalente ai secoli XVII e XVIII, i Musei Civivi di Pesaro ospitano, tra le altre, le importanti donazioni della marchesa Vittoria Mosca – con la cospicua quadreria di famiglia – e di Annibale degli Abbati Olivieri – con i notevoli dipinti dei conti Machirelli Giordani – la collezione bolognese Hercolani, acquisita attraverso un lascito di Gioachino Rossini e numerose opere d’arte provenienti dalla soppressione di congregazioni religiose della città.
Il cortile d’ingresso è impreziosito da La Medusa, l’ultimo lavoro di Ferruccio Mengaroni, realizzato per la Biennale d’Arte di Monza del 1925. Purtroppo la cassa contenente il tondo di dodici quintali si sbilancia, mentre è spinta lungo la scalinata di Villa Reale e l’artista, per evitarne la distruzione, le corre incontro rimanendone schiacciato. L’imponente maiolica è una sorta di autoritratto dell’autore, che interpreta abilmente lo stile rinascimentale. Le ceramiche custodite nel museo raccontano la storia della tradizione locale, con capolavori rinascimentali tra cui spiccano la Faustina di Casteldurante, la prima coppa del suo genere decorativo realizzata nel 1522, San Giuda Taddeo, attribuita a Nicola da Urbino e lustrata da Mastro Giorgio da Gubbio nel 1525, La caccia al cinghiale Caledonio, uno dei primi esempi di istoriato pesarese ed uno dei pochi esemplari firmati e datato 1541, Congiarium, con un disegno tratto da una stampa di Taddeo Zuccari e incorniciato da una fascia a raffaellesche. Nella raccolta figurano anche numerosi pezzi settecenteschi decorati al ticchio e alla rosa di Pesaro.
La pinacoteca raccoglie opere pittoriche dal Trecento all’Ottocento, tra cui spiccano le Storie della vita della Vergine attribuite a Paolo Veneziano e la celebre Incoronazione della Vergine di Giovanni Bellini, la pala d’altare dipinta intorno al 1475 per la Chiesa di San Francesco, purtroppo priva di cimasa, trafugata dalle truppe napoleoniche, riconsegnata allo Stato Pontificio e conservata oggi in Vaticano, grazie all’intervento di Antonio Canova. Non meno importante è la Caduta dei giganti di Guido Reni, proveniente dalla collezione Hercolani Rossini, le tele raffiguranti Maddalena penitente e San Giuseppe di Simone Cantarini, allievo di Reni, e la Missione di San Pietro di Gianadrea Lazzarini.

Gioachino Rossini

Il nucleo originario del Palazzo Ducale di Pesaro risale al periodo di Malatesta dei Sonetti, tra il 1368 e il 1429, mentre Alessandro Sforza, duca dal 1445 al 1473, amplia la dimora ducale per adeguarla alle esigenze di una moderna corte rinascimentale, iniziando la ristrutturazione che ingloba la parte malatestiana con altri tre edifici disposti intorno ad un cortile quadrangolare. Il figlio Costanzo continua ad abbellire la corte chiamando presso di sé artisti illustri, tra cui lo scultore pistoiese Domenico Rosselli, del quale oggi si conservano soltanto le finestre del Salone Metaurense – luogo delle pompose nozze di Costanzo Sforza con Camilla d’Aragona celebrate nel 1475 – e due putti posti solo in seguito a lato del notevole camino della sala d’aspetto, opera di Federico Brandani, raffigurante una corsa di bighe intorno alle mura roveresche. Risale al successivo periodo di Giovanni Sforza il camerino da bagno, detto di Lucrezia Borgia, sua seconda moglie, con splendidi stucchi policromi del XVI secolo.
La ricostruzione e gli ampliamenti voluti dai Della Rovere modificano in parte l’assetto del palazzo, innanzitutto con Francesco Maria I che affida i restauri a Girolamo Genga, poi con Guidubaldo II che assegna i lavori a Bartolomeo Genga e dona alla residenza ducale un aspetto sfarzoso grazie anche al contributo di artisti come Federico Brandani, Taddeo Zuccari e Ludovico Carracci. In seguito incarica Filippo Terzi e Niccolò Sabbatini della costruzione di altre ali, ma l’apoteosi della famiglia raggiunge l’apice nella ristrutturazione del Salone Metaurense, dotato di uno splendido soffitto a cassettoni e decorato negli anni con gli stemmi dei duchi, dei legati pontifici e dei prefetti che si sono succeduti nel governo di Pesaro.
L’esterno del palazzo conserva l’ampio porticato originale in sei arcate, mentre la parte superiore ha subito modifiche molto più radicali, tra cui la merlatura che corona l’edificio, con la sostituzione di quella quattrocentesca con un cornicione nel 1774 e la sua ricostruzione di proporzioni molto più vistose nel 1926.
IL Palazzo Ducale si affaccia su Piazza del Popolo, la principale della città, anticamente nota come Piazza Grande, il cui assetto attuale si deve a Filippo Terzi, per iniziativa di Francesco Maria II Della Rovere in occasione delle nozze del figlio Federico Ubaldo con Claudia De Medici, quando la piazza è ammattonata per la prima volta e ripartita con liste marmoree sostituite nel 1733 con altre in pietra di Rovigno. Al centro sorge la grande fontana a bacino ottagonale costruita fra 1588 e 1593, poi ristrutturata tra il 1684 e il 1685 dallo scultore romano Lorenzo Ottoni. I bombardamenti del secondo conflitto bellico la distruggono nel 1944, ma è ricostruita nel 1960 secondo l’antico progetto di Ottoni e con il recupero degli elementi superstiti, con la pietra bianca dell’Istria e il marmo rosso veronese.

Gioachino Rossini

Giuseppe Rossini e Anna Guidarini si sposano nella Cattedrale di Pesaro il 26 settembre 1791 e nel giorno della nascita del loro primo ed unico figlio, il 29 febbraio 1792, lo conducono in Duomo per esservi battezzato col nome di Giovacchino Antonio Rossini.
La chiesa, sede della cattedra vescovile ed intitolata al patrono San Terenzio, sorge sui resti di una basilica paleocristiana del IV-V secolo, distrutta durante la guerra tra Goti e Bizantini nel 553 e ricostruita del VI secolo, presumibilmente per volere di Giovanni, generale dell’Imperatore d’Oriente Giustiniano, combattente prima a fianco di Belisario, poi di Narsete, come attesta l’iscrizione dedicatoria circolare, in lettere maiuscole capitali, posta in corrispondenza dell’ingresso e oggi visibile grazie alla copertura in cristallo: “CON L’AIUTO DI DIO E CON L’INTERCESSIONE DELLA BEATA VERGINE MARIA, GIOVANNI, UOMO ILLUSTRE, STRATEGA DI RANGO CONSOLARE, ORIGINARIO DELLA PROVINCIA DELLA MISIA, HA FATTO COSTRUIRE DALLE FONDAMENTA QUESTA BASILICA, CON OGNI DEVOZIONE”.
Sotto la cattedrale si conservano pertanto due pavimenti a mosaico unici nel suo valore. Il pavimento superiore ha una superficie di circa seicento metri quadrati, risalente al VI secolo – caratterizzato dal raffinato linguaggio geometrico e simbolico della tradizione bizantina – e con rifacimenti eseguiti fino al XIII secolo – con stile ed espressioni tipiche delle culture cristiane medievali – mentre il pavimento inferiore, che dovrebbe avere la stessa vastità, è purtroppo visibile soltanto in alcuni frammenti emersi in vari saggi.
Dell’antica ricostruzione romanica il Duomo conserva i due leoni stilofori ai lati dell’ingresso centrale e la facciata, che già risente degli influssi gotici evidenziati soprattutto nel portale. Di notevole importanza sono anche i portali della ex Chiesa di San Domenico – a fianco del Palazzo delle Poste – opera gotica dei fratelli veneziani Delle Masegne del 1395, della ex Chiesa di San Francesco – oggi Santuario della Madonna delle Grazie – costruito nel 1356-73 in pietra rossa ornata di rilievi e sculture, e della Chiesa di Sant’Agostino, realizzato in pietra d’Istria tra il 1398 e il 1413 in stile gotico-veneziano, ornato da leoni e statue entro nicchie e tabernacoli.
Gran parte dei reperti archeologici della Cattedrale, oltre ad altri beni di importanza storica ed artistica, sono conservati al Museo Diocesano ospitato nei locali sotterranei di Palazzo Lazzarini, edificio posto di fronte al Duomo, inaugurato come Seminario nel 1788, la cui costruzione si deve al pesarese Gianandrea Lazzarini e al camerinese Giovanni Antinori.
In assoluto uno dei beni più importanti e affascinanti di Pesaro, costruita a partire dal 1577 dalla confraternita del Nome di Dio, ad opera del capomastro Guglielmo Francia, la Chiesa del Nome di Dio conserva l’interno originario interamente decorato.
La pala dell’altare maggiore raffigurante la Circoncisione è una copia dell’originale, firmata e datata 1590 dall’urbinate Federico Barocci, trafugata dalle truppe napoleoniche nel 1797 ed esposta al Louvre. Dello stesso periodo sono le sistemazioni dell’altare laterale sinistro, con Crocifisso ligneo, e dell’altare laterale destro, con la Madonna in gloria tra Cristo, l’Eterno con Angeli, e sant’Antonio, Francesco, santo Vescovo, Domenico, tela del mantovano Teodoro Ghisi, allievo di Giulio Romano. Al 1617 risale la committenza della decorazione del soffitto, affidata allo scenografo roveresco Giovanni Cortese – già autore dei restauri del soffitto del Salone Metaurense – e al pittore Giovan Giacomo Pandolfi. Al centro del magnifico concentrato di spettacolarità tardomanieristica ricca di influenze intellettualistiche è Il trionfo del Nome di Dio, affiancato da Le gerarchie temporali a destra e da Le gerarchie ecclesiali o spirituali e sinistra; sopra sono situati i dipinti de L’Inferno e Lo scheletro, sotto L’Immacolata Concezione e La Resurrezione di Cristo. Agli angoli, entro prospettive illusionistiche ad effetto trompe l’oeil, sono i profeti Isaia, Abacuc, Salomone e David, che sorreggono tavole con scritte relative alla glorificazione del Nome di Dio, mentre nella fascia monocroma sottosoffitto sono Angioletti, bambini e bambine vanno in processione, suonano e cantano a destra, Angioletti, bambini e bambine compiono opere di misericordia a sinistra.
Nel 1631 Antonio Paci da Pesaro installa un nuovo organo, inserito tra le due finestre della parete d’ingresso sopra il portale, e nel 1634 si decide di completare la decorazione dei muri della chiesa sempre ad opera di Pandolfi, ma con la partizione scenografica del nuovo scenografo Nicolò Sabbatini, mentre gran parte delle opere lignee è eseguita da Francesco Gilioni da Montecarotto. Ai fianchi dell’organo, in due sottili strisce di tela, da un lato è raffigurato un flautista, dall’altro è l’autoritratto del pittore. I dieci grandi quadri che decorano le pareti rappresentano episodi che alludono al passaggio dal Vecchio al Nuovo Testamento attraverso imprese legate al Nome di Dio. Così, a partire dall’ingresso e procedendo verso l’altare maggiore, sono La Sibilla Cumana e La Sibilla Eritrea, Il passaggio del Mar Rosso e Davide e Golia, Il trionfo di Giuseppe Ebreo e Il trasporto dell’Arca, San Pietro risana lo storpio e San Paolo libera l’ossessa, per concludere con L’annuncio a Maria e Il sogno di Giuseppe. I dipinti monocromi della fascia inferiore fungono da spalliere ai sedili sottostanti e raffigurano otto dottori della Chiesa e i quattro evangelisti.
Anche la sagrestia è affascinante, oltre ad essere una preziosa raccolta di testimonianze, seppur di valore artistico inferiore alla chiesa, con dipinti attribuiti a numerosi artisti, dalla pala d’altare di Pandolfi, agli angeli monocromi con simboli della passione dipinti nelle spalliere da Giuseppe Oddi, alle diciannove scene della passione di Cristo attribuite a vari autori. Il soffitto, con quindici tele inserite in cornici quadrate ed ottagonali, è un ulteriore repertorio di scelte iconografiche devozionali.
Affacciato direttamente sul mare, luogo d’incontro per la gente di Pesaro, Piazzale Libertà ospita la Sfera Grande di Arnaldo Pomodoro, uno dei principali simboli della città, il cui modello in poliestere installato nel 1971, è sostituito dalla suggestiva fusione in bronzo nel 1998.
Accanto si trova il celebre Villino Ruggeri, notevole esempio di architettura Liberty, con tradizionale struttura a cubo, ricchissima nelle decorazioni a rilievo realizzate in cemento idraulico, con soggetti marini e floreali e maiolica policromata, edificato fra il 1902 e il 1907 per il farmacista Oreste Ruggeri.

Urbino

Arroccata sulle alture delle colline nella zona meridionale del Montefeltro, sulle ultime propaggini nord-orientali dell’Appennino umbro-marchigiano, Urbino appare ancorata in tutto il suo splendore al secolo della rinascita, nello spirito, nelle atmosfere suggestive, nella storia e nella cultura.
Sede del governo dei Montefeltro per quasi tre secoli, fino agli inizi del ‘500, sotto la loro guida la città assume l’aspetto che in parte ha ancora oggi. È con l’arrivo dei Della Rovere, nel periodo immediatamente successivo alla breve parentesi dei Borgia, che la capitale del Ducato è spostata a Pesaro ed il lungo declino conseguente serve forse a preservare l’architettura originaria della città, protetta dai rimaneggiamenti barocchi e rococò di moda dei secoli successivi.
Capitale indiscussa dell’arte rinascimentale italiana, l’intero centro storico di Urbino entro la cinta muraria è dichiarato Patrimonio Mondiale dell’Umanità dall’UNESCO nel 1998. Gli edifici che si incontrano passeggiando per le vie del borgo sembrano fermare il tempo all’epoca di Federico da Montefeltro, signore illuminato e mecenate, a cui si deve la costruzione del Palazzo Ducale e la ristrutturazione di tutta la città.
Il punto ideale da cui iniziare la visita di Urbino è il Borgo Mercatale, antica sede del mercato oggi adibito a parcheggio e stazione degli autobus. Dalla piazza si gode una splendida vista di parte della cinta muraria, della Data – le grandi scuderie – e del Palazzo Ducale, che si erge verso l’alto imponente, ma al tempo stesso signorile ed elegante. Si può salire a piedi, percorrendo la scala elicoidale costruita appositamente dall’architetto senese Francesco di Giorgio Martini per permettere ai cavalli di raggiungere le stalle e gli edifici della corte.
Il Palazzo Ducale è oggi sede della Galleria Nazionale delle Marche, che nella splendida cornice architettonica degli interni creati da Luciano Laurana ospita importanti opere del periodo rinascimentale. Si entra da Piazza Duca Federico e si accede immediatamente al bellissimo Cortile d’onore, di forme classiche e armoniose, che ha un porticato con archi a tutto sesto e colonne corinzie. Le prime sale del museo sono situate al primo piano nell’Appartamento della Jole, abitato da Federico prima del completamento del Palazzo, nell’Appartamento dei Melaranci e nell’Appartamento degli Ospiti. Il percorso prosegue con l’Appartamento del Duca, le Sale di Rappresentanza e l’Appartamento della Duchessa, le cui sale ospitano opere di Piero della Francesca, Giusto di Gand, Pedro Berruguete, Paolo Uccello, Giovanni Santi, il celebre figlio Raffaello e Tiziano, oltre alla Veduta della città ideale di un anonimo fiorentino e lo Studiolo del Duca Federico. Il secondo piano, realizzato dai Della Rovere, accoglie opere di Federico Barrocci e di autori del XVII secolo, mentre i sotterranei comprendono gli ambienti di servizio, tra cui le cucine, le cantine e le scuderie.
Accanto all’affascinante Palazzo Ducale è la Cattedrale di Santa Maria Assunta, costruita su progetto dell’architetto romano Giuseppe Valadier a fine ‘700 sulle rovine della precedente costruzione rinascimentale, distrutta da un terremoto. Nel raffinato interno in stile neoclassico si distinguono la maestosa cupola cassettonata e la Cappella della Concezione, mentre tra le opere d’arte custodite si trovano due importanti tele di Federico Barrocci. Ai lati del Duomo si trovano il Palazzo Arcivescovile, il Museo Diocesano Albani e l’Oratorio della Morte – dove troneggia la splendida Crocifissione con dolenti e Maddalena di Barrocci – da un lato e l’Oratorio della Grotta dall’altro, mentre di fronte sono situati il Palazzo Comunale, Palazzo Benedetti, Palazzo Ubaldini-Ivarra e la Chiesa di San Domenico, che fanno da cornice alla splendida Piazza Rinascimento, impreziosita al centro da un obelisco egiziano.
Proseguendo verso Via Puccinotti e Via Vittorio Veneto si arriva in Piazza della Repubblica, su cui si affacciano il Palazzo del Legato Albani, il Palazzo del Collegio Raffaello e la Chiesa di San Francesco, edificata nel XIV secolo in stile romano-gotico, del cui periodo restano i fregi del portale, Il perdono di Assisi di Federico Barrocci e una crocifissione attribuita ai fratelli Salimbeni, oltre al magnifico campanile del XV secolo. La chiesa, rimaneggiata a metà ‘700, ospita le importanti sepolture di Barrocci, dei genitori di Raffaello e di altre importanti personalità urbinate.
Svoltando in Via Bramante si incontrano Palazzo Albani, l’Orto botanico e la Chiesa di Santo Spirito, fino a raggiungere la suggestiva Porta Santa Lucia. A sinistra si può imboccare un camminamento panoramico che conduce a Pian del Monte e Piazzale Roma, dove è situato il Monumento a Raffaello all’esterno della cinta muraria. Lungo le fortificazioni è situato l’ingresso al Parco della Resistenza, accanto alla Fortezza Albornoz, da cui si gode una vista mozzafiato di tutta la città, ma soprattutto del fulcro centrale della Cattedrale e di Palazzo Ducale. Rientrando nel borgo e discendendo in Via Raffaello, sulla destra è situata la Casa Natale del celebre artista, dove è possibile ammirare un suo affresco giovanile, oltre agli ambienti e agli arredi.
Ritornando in Piazza della Repubblica, si imbocca poi Via Barrocci, dove si trovano l’Oratorio delle Cinque Piaghe, l’Oratorio di San Giuseppe e l’Oratorio di San Giovanni, affrescato nel 1416 dai fratelli Salimbeni. Da qui la scalinata conduce in Via Mazzini, di fronte alla Chiesa di San Francesco di Paola, e discendendo verso la Porta Valbona si ritorna al Borgo Mercatale.
Per raggiungere i luoghi rossiniani in automobile si deve prendere l’uscita di Pesaro sulla A14 Bologna-Taranto e seguire le indicazioni Centro Città dove si trovano le Chiese, i Musei, i Palazzi e i Teatri. Per raggiungere Urbino e l’Adriatic Arena, sede temporanea di alcune rappresentazioni del Rossini Opera Festival, occorre seguire le relative indicazioni dal casello autostradale, oppure dalle vie principali ad alta percorrenza del centro di Pesaro.
Per chi arriva con i mezzi pubblici, Pesaro è collegata alle principali città italiane attraverso la linea ferroviaria Bologna-Lecce e nel piazzale della stazione è possibile accedere al servizio autobus extraurbano per raggiungere Urbino e Roma.