2010

Note di viaggio: Busseto e i Luoghi Verdiani

Era il 9 ottobre 1813 e alle Roncole, piccolo paese agricolo nelle vicinanze di Busseto, si festeggiava il patrono della diocesi San Donnino. Il giorno successivo un gruppo di girovaghi era intento a suonare all’interno dell’osteria, mentre al piano superiore, nella camera da letto del taverniere, veniva alla luce il figlio Giuseppe Fortunino Francesco Verdi e la musica fu certamente di buon auspicio.
Il fanciullo fu battezzato nella chiesa di San Michele e pochi mesi più tardi, nascosto in grembo alla madre nella torre campanaria, scampò al pericolo delle truppe russe e austriache, in marcia nel periodo immediatamente successivo alla disfatta napoleonica. Nella stessa chiesa, all’organo costruito dal bergamasco Ferdinando Bossi nel 1797, il piccolo Giuseppe si esercitava alla guida del suo primo maestro, Pietro Baistrocchi. Molti anni più tardi, nel 1900, ringraziò il Cav. Filippo Tronci, che si offrì di restaurare gratuitamente lo strumento, dopo che il direttore d’orchestra Leopoldo Mugnone e il mezzosoprano Giuseppina Pasqua, visitando le Roncole, constatarono la necessità di un intervento urgente. Nel tempo il paesino divenne meta di melomani e ammiratori e nel 1872 il compositore, infastidito dal pellegrinaggio di estimatori e curiosi, propose al marchese Giuseppe Pallavicino di Parma, del ramo di Zibello, proprietario della casa e del retrostante mulino, di acquistarla per la notevole somma di 22 mila lire, con l’intento di farla abbattere, ma il marchese si rifiutò e donò la casa alla municipalità, che poi divenne monumento nazionale nel 1901. Nel 2001, in occasione del Centenario Verdiano, l’abitazione è stata restaurata e gli interni ricostruiti e resi visitabili in base ad una serie di studi sull’architettura rurale della bassa padana.

Giuseppe Verdi

Giuseppe Verdi si trasferì a Busseto a soli dieci anni, dove iniziò gli studi presso il ginnasio e la scuola municipale di musica, diretta da Ferdinando Provesi e fu assiduo frequentatore di Casa Barezzi, sede della Filarmonica Bussetana, fondata dallo stesso Barezzi – dilettante di flauto, di clarinetto, di corno, di oficleide e di contrabbasso – e da Provesi, Maestro di cappella e organista della chiesa collegiata di San Bartolomeo. Antonio Barezzi, mercante di coloniali, riforniva l’osteria delle Roncole, gestita dai genitori di Verdi, che probabilmente lo avevano informato delle doti del figlio. Ma fu durante una trasferta dei Filarmonici che lo sentì all’organo della chiesa di San Michele, seguendolo poi alla scuola di Provesi a Busseto e infine introducendolo a casa sua, come compagno dei figli maschi e insegnante di pianoforte della figlia Margherita. Il Salone fu certamente il luogo della loro dichiarazione d’amore, ma anche teatro della prima esibizione pubblica del giovane Verdi, nel febbraio del 1830. Successivamente partì per Milano e sostenne l’esame di ammissione al Conservatorio, ma fu respinto, così intraprese gli studi musicali presso il M° Vincenzo Lavigna, sostenuti finanziariamente dalla borsa di studio del Monte di Pietà di Busseto, ma per la gran parte da Antonio Barezzi. Al suo ritorno furono celebrate le nozze con Margherita, il 4 maggio 1836 e la festa si svolse all’interno del Salone, dove più tardi, nel 1844, vi compose l’opera I due Foscari. Il Maestro, anche in seguito, fu più volte presente in Casa Barezzi con la nuova consorte Giuseppina Strepponi. Al momento della morte del suocero, nel luglio 1867, il compositore, sedutosi al forte-piano, suonò le note del “Va pensiero” per consolare gli ultimi istanti del suo amatissimo benefattore, di cui “l’ultima parola, l’ultimo sguardo fu per Verdi” come scrisse poi la Strepponi. Il 10 Aprile 2001 l’Associazione Amici di Verdi, attuale proprietaria di Casa Barezzi, ha aperto al pubblico un nuovo allestimento, con una vasta esposizione iconografica di cimeli e documenti verdiani. Lo storico Salone, rimasto immutato nel suo ottocentesco arredo originario, con camino in pietra del XVII secolo, contiene il viennese forte-piano Tomaschek, acquistato da Barezzi attorno al 1835 e sul quale Verdi suonò a lungo. Una elegante vetrina in legno di inizio novecento contiene il calco in gesso del volto e della mano di Verdi, eseguiti il giorno successivo alla morte da Luigi Secchi, lo scultore che poi realizzò il monumento posto nella piazza antistante la casa. Sono inoltre conservate quattro litografie acquerellate con immagini della Rocca dei Pallavicino, circondata da una cerchia di mura e da un fossato, così come si presentava nella prima metà del XIX secolo, prima della costruzione del teatro e il rimaneggiamento della facciata. Nella nuova ala espositiva, oltre ad importanti ritratti di Verdi e dei familiari, diversi documenti e lettere autografe, alcune caricature e manifesti teatrali, si trova una collezione – unica nel suo genere – di oltre sessanta ritratti in litografia dei primi interpreti delle opere verdiane, nonché documenti e illustrazioni relative al funerale privato, svolto all’alba e senza musiche come richiesto da Verdi nel testamento, ed il successivo trasporto solenne, un mese dopo, dal Cimitero di Milano alla cripta della Casa di Riposo per Musicisti, accompagnato da una folla immensa. Infine si trova il manoscritto originale dell’ode “In morte di Giuseppe Verdi” scritta da Gabriele D’Annunzio pochi giorni dopo la morte del Maestro, composto da dieci pagine autografe del grande poeta.

Giuseppe Verdi

Dopo il matrimonio con Margherita, Verdi trascorse il successivo decennio tra Busseto e Milano, prima realizzandosi come marito e padre, poi vittima della tragica morte dei due figli e della moglie, infine autore di opere liriche di successo, che lo portarono alla conquista dei maggiori teatri d’Italia e d’Europa. Fu a Parigi che nacque l’amore con Giuseppina Strepponi, celebre soprano e prima interprete di Nabucco, con la quale convisse per tutta la vita. Si trasferirono in un palazzo a Busseto nel 1848 e poi in un casale a Sant’Agata nel 1851, dove restarono per mezzo secolo, fino alla morte. La piccola casa colonica fu più volte rimaneggiata, sempre seguendo progetti personali di Verdi, fino a diventare una vera e propria Villa. I lavori terminarono definitivamente nel 1867 e la Strepponi scrisse all’amica Clarina Maffei: “Comperò il latifondo di Sant’Agata ed io che avevo già mobilitata una casa in Milano ed un’altra a Parigi, dovetti organizzare un pied-à-terre nei nuovi possedimenti dell’illustre professore delle Roncole. Si cominciò con infinito nostro piacere a piantare un giardino, che in principio fu detto il giardino della Peppina. Poi si allargò e fu chiamato il suo giardino; e ti posso dire che in questo suo giardino vi czareggia or tanto ch’io sono ridotta a pochi palmi di terreno, sui quali egli non ha per condizioni stabilite il diritto di ficcar il naso. Non potrei affermare in coscienza ch’egli rispetti sempre queste condizioni, ma ho trovato mezzo di richiamarlo all’ordine minacciandolo di piantar cavoli invece di fiori. Questo giardino, che s’andava allargando ed abbellendo, domandava una casa un po’ meno colonica; Verdi si trasformò in architetto, e non ti posso dire, durante la fabbrica, le passeggiate, i balli dei letti, dei comò e di tutti i mobili. Ti basti che, eccettuato in cucina, in cantina e nella stalla, noi abbiamo dormito e mangiato in tutti i buchi della casa”. I coniugi si stabilirono infine al piano terreno, mentre il primo piano fu riservato ai domestici e agli ospiti. Oggi la Villa è abitata dagli eredi, discendenti della seconda cugina ed erede universale Maria Filomena, allevata da Verdi e dalla Strepponi come una figlia.
È possibile visitarne l’ala sud, ospitante le stanze private dei Verdi, ricche di mobili, dipinti e altri oggetti di valore. La stanza all’angolo sud-est, visibile soltanto dall’esterno, è il salotto rosso, con arredo in stile Secondo Impero e un pianoforte Pleyel appartenuto a Giuseppina Strepponi. Si entra nell’appartamento dalla stanza della Peppina, dove morì il 14 novembre 1897, all’età di 82 anni. Il letto, l’armadio, i comodini e le seggiole sono in stile barocco genovese, affiancati da due mobili seicenteschi intarsiati in avorio, madreperla e tartaruga, acquistati dai coniugi a Parigi. Nella stanza si trovano anche un busto in gesso di Tenerani raffigurante il celebre soprano nel 1841 e due statuette del Maestro, opere di Vincenzo Luccardi e del critico francese Dantan. Oltre a due dipinti del napoletano Salvator Rosa e due provenienti dalla scuola del Correggio, nella camera si trovano anche i ritratti di Giuseppe Verdi, Giuseppina Strepponi, il baritono francese Victor Maurel in costume da Falstaff, il pappagallo Lorito e il cagnolino maltese Loulou, morto nel luglio del 1861 e sepolto nel giardino, di fronte alle stanze dei Verdi, con la dedica: “alla memoria di un vero amico”.
Nello spogliatoio, tra i numerosi libri, fotografie e vari oggetti personali, è collocato il fortepiano Fritz, con sei pedali per diverse tonalità, usato dal Maestro dalla composizione di Rigoletto nel 1851 a Busseto, fino a quella di Aida nel 1870. Sotto il fortepiano si trova un baule, utilizzato per il trasporto in Russia della partitura de La forza del destino, composta per il Teatro Imperiale di Pietroburgo.
Giuseppe Verdi dormiva separato dalla moglie poiché lavorava molto spesso durante la notte e non la voleva disturbare. Nella sua camera si trovano dipinti, sculture, bronzi, terrecotte e medaglie di assoluto pregio, oltre a libri di personale consultazione, spartiti di altri autori e armi da caccia. Sullo scrittoio occorre soffermarsi sulla scultura in marmo bianco di Giovanni Dupré, raffigurante la mano del Maestro all’epoca di Macbeth nel 1847, notando la stessa lunghezza del dito medio e del dito anulare. Alla parete è il celebre busto in terracotta opera di Vincenzo Gemito, eseguito a Napoli nel 1872, quando Verdi aveva 59 anni, mentre lo scultore solo 19. Sotto si trova il pianoforte Erard, utilizzato dal 1871 fino al regicidio di Umberto I, quando il compositore smise di suonare per protesta. Infine, in una vetrina di fronte al camino, sono conservati i guanti bianchi che Verdi indossò una sola volta per dirigere la prima di Messa da Requiem il 22 maggio 1874, nella chiesa di San Marco a Milano, in occasione del primo anniversario della morte di Alessandro Manzoni.
Nello studio del Maestro, dove teneva la contabilità dei terreni, sono conservate tutte le copie delle sue opere e di altri autori, fotografie e litografie di parenti e amici, lettere ed oggetti personali, oltre ad alcuni documenti della sua vita politica. Giuseppe Verdi fu deputato per il collegio di Fidenza nel primo Parlamento Italiano, su consiglio di Cavour, che lo invitò a candidarsi nel 1861, poi senatore a vita dal 1874. Di particolare interesse sono l’intonso blocchetto del treno col quale avrebbe potuto viaggiare gratuitamente, mai utilizzato, e le due proposte di legge presentate alle camere, sulla regolamentazione dei diritti d’autore e sulla riforma dei conservatori.
Oltre le stanze private si trovano la camera del Grand Hotel et de Milan, donata e ricomposta nella Villa nel 1932, dove il compositore morì il 27 gennaio 1901 all’età di 87 anni, la cappella privata, la cantina, la rimessa delle carrozze, la stalla dei cavalli e un parco in stile romantico francese di 6 ettari, su disegno dello stesso Verdi, con più di cento tipi di specie di piante diverse, alcune anche rare, provenienti dalle diverse parti del mondo, dall’Asia, all’Africa e alle Americhe. Sono quasi tutte ultracentenarie, piantate dallo stesso Maestro, altre erano addirittura già in queste terre prima del suo arrivo. Particolarmente interessante è la spalliera di magnolie, oltre il giardino sul lato nord, acquistate con l’aiuto di Mariani nel 1860: “ti farai condurre, da Gambini maestro, da quel tale giardiniere, e comprerai 10 magnolie Grandiflora dell’altezza di un metro e mezzo circa, ma in tutti i casi non mai minori di un metro. Che siano ben cavate ed impagliate”. Poi, ripensandoci: “Se non sei partito, se non hai spedito le magnolie, invece di dieci mandane dodici. Se fossero anche più alte di un metro e mezzo, sarebbe meglio costando anche di più”.
Nell’immenso parco è presente anche un laghetto, naturalmente arginato dalle radici pneumatofore a ginocchio dei taxodium distichum o cipressi calvi della Virginia, della famiglia delle taxodiacee, la stessa delle sequoie, appositamente trapiantati dal compositore. Nel luglio del 1869 vi fu un incidente di cui Giuseppina scrisse a Clarina: “Grazie a Dio, è una cosa passata: e come tale è inutile ch’io tenti di fartene una descrizione tragico-palpitante, ma infine sappi che la pozzanghera, l’infame pozzanghera poco mancò non si convertisse nel nostro sepolcro… Verdi era in battello e mi stendeva la mano per aiutarmi a scendervi. Vi posi un piede e nel mettervi il secondo la barca si capovolse, e giù tutti e due fino in fondo al lago, ma proprio in fondo! Verdi, grazie a Dio, al caso od alla presenza di spirito, sentendo la barca toccargli leggermente il capo, poté, alzando un braccio, respinger con forza quella specie di coperchio sepolcrale! Questo movimento, non so come, l’aiutò a rizzarsi in piedi ed in quella posizione ha potuto con vigore e prontezza incredibili, aiutato da Corticelli, estrarmi dall’acqua dove io stava senza poter muovermi, rattenuta dalle vesti di seta gonfie spaventosamente ed anche senza coscienza quasi del mio stato, e quindi senza fare tentativi per salvarmi. Non ti parlo dello sgomento, della disperazione della mia povera sorella, che corse gridando aiuto: dello spavento di quanti ci videro in quel terribile momento. Io non ebbi per così dire tempo di spaventarmi, perché perder l’equilibrio e trovarmi con due braccia d’acqua sulla testa fu un baleno. I sensi stavano per venir meno, quando aprendo gli occhi mi trovai sorretta dal braccio di Verdi, che stava ritto in piedi coll’acqua fino alla gola e credetti che vi si fosse gettato espressamente per salvarmi. Non fu che più tardi ch’io seppi come le cose erano accadute e allora fui presa da terrore, pensando a Verdi ed alle conseguenze che poteva avere per lui e per l’arte quel triste ed involontario bagno. Per me, non essendo nulla al mondo… ma non pensiamoci più… Mia sorella, mia madre… Gesù Maria quante disgrazie se… Fa parte a Giulio dell’accaduto, non piacendomi di ripeterlo tante volte; ma per amor di Dio salvateci dai giornali e dalle loro menzognere esagerazioni…”

Giuseppe Verdi

Successivamente all’allontanamento da Busseto e al ritiro in solitudine a Sant’Agata, Verdi scriveva a Barezzi: “Ella vive in un paese che ha il mal vezzo d’intricarsi spesso negli affari altrui, e disapprovare tutto quello che non è conforme alle sue idee; io ho per abitudine di non immischiarmi, se non chiesto, negli affari altrui, perché appunto esigo nissuno s’intrighi de’ miei. Da ciò provengono i pettegolezzi, le mormorazioni, le disapprovazioni”. E continua a proposito della sua chiacchierata relazione con Giuseppina Strepponi, malvoluta dai bussetani: “In casa mia vive una Signora libera indipendente, amante come me della vita solitaria, con una fortuna che la mette al coperto di ogni bisogno. Né io, né Lei dobbiamo a chichessia conto delle nostre azioni; ma d’altronde chi sa quali rapporti esistano fra noi? Quali gli affari? Quali i legami? Quali i diritti che io ho su di Lei, ed Ella su di me? Chi sa s’Ella è o non è mia moglie? Ed in questo caso chi sa quali sono i motivi particolari, quali le idee da tacerne la pubblicazione? Chi sa se ciò sia bene o male? Perché non potrebbe anche essere un bene? E fosse anche un male chi ha il diritto di scagliarci l’anatema? Bensì io dirò che a lei, in casa mia, si deve perianzi maggior rispetto che non si deve a me, e che a nissuno è permesso mancarvi sotto qualsiasi titolo; che infine ella ne ha tutto il diritto, e pel suo contegno, e pel suo spirito, e pei riguardi speciali a cui non manca mai verso gli altri”.
All’idea di costruire un nuovo teatro a Busseto, Verdi scrisse all’amato suocero: “In nome del Padre, del Figliuolo, e Spirito Santo. Faccio il segno della croce prima di rispondere alla sua caris. e mettermi in grazia di Dio, per non dir coglionerie. A Busseto il Teatro?… Non  credo, né lo crederò mai… poveri noi se ciò avvenisse! Casca il mondo! Io scriverò l’ora (se volete) e sempre che i miei impegni lo permettano, e tutti sanno che devo scrivere sei opere. Sulla Frezzolini e Poggi non posso promettere, ma vi può essere molta probabilità… Fatevi pure coraggio, e siccome sono castelli in aria, fateli belli”.
La progettazione tecnica, i lavori di costruzione, la decorazione e la messa in opera di attrezzature ed impianti durarono un ventennio. Nel frattempo il sindaco e l’intero paese sostenevano che il Maestro si era impegnato a scrivere un’opera nuova per l’inaugurazione. Verdi ne era indignato e si indirizzò a Barezzi con queste parole: “Ma Busseto ha una vanità e delle pretese così ridicole che le grandi città non hanno. È il difetto di quel paese!” e concluse dicendo: “È ben vero l’antico proverbio: Nemo propheta in patria”. La Strepponi prese annotazione di tutta la corrispondenza relativa al teatro, conservando tali documenti nel suo copialettere. Una di queste, datata 1865, che ricorda la Borsa di Studio pagata al giovane Verdi dal Monte di Pietà e l’invadenza nella sua vita privata, è un vero e proprio atto d’accusa contro Busseto: “Dire ad ogni momento queste parole che se è ridicolo, è pure offensivo: “L’abbiamo fatto noi”. È sempre l’affare dei 27 franchi. E perché non ne hanno “fatti” degli altri poiché i mezzi erano gli stessi? Se io in questo proposito senza scostarmi dalla verità, scrivessi una letterina da pubblicarsi, potrei metterli in ridicolo dinanzi all’Europa. È meglio farla finita, e con 27 franchi e 50 centesimi e colla specie d’inquisizione che si esercita da sedici anni. Io mi sono per così dire, ritirato da Busseto, se la noia mi prende mi ritirerò da Sant’Agata, e la peggior figura non la farò io”. La questione fu posta nelle mani del notaio Angiolo Carrara e dopo aver fatto rimangiare alle autorità municipali le loro parole, Verdi concesse che il teatro portasse il suo nome. Per ringraziarlo gli fu offerto un palco, ma egli lo volle pagare, depositando presso il Municipio una cartella di dieci mila franchi. A tale proposito la Strepponi commentò nel suo copialettere: “A Giuseppe Verdi, che riempì il mondo della sua gloria musicale, i Bussetani lo ricompensano avvelenandogli la vita con ogni sorta di vili azioni e rinfacciandogli ad ogni parola ad ogni passo, la miserabile somma (che non potevano rifiutargli perché legato antico) di franchi 1200!! Con infinite villanie, menzogne, violenze, lo esacerbano, l’annoiano e per così dire l’obbligano, per finire pure una volta queste punture di tutti i giorni, a gettar loro in faccia la cospicua somma di 10.000 franchi!!! Sia!… sarà così pagato quel sedicente beneficio al 100 per 100 materialmente! al mille per uno, nella gloria che rifulge su quel sozzo e indegno paese!”
La serata inaugurale fu il 15 agosto 1868 e all’occasione, per onorare il compositore, le signore presenti in teatro indossarono abiti di colore verde e per i signori la cravatta d’obbligo fu verde. La stagione durò un mese intero e furono allestite Rigoletto e Un ballo in maschera. Ma Giuseppe Verdi e la consorte Giuseppina Strepponi erano vistosamente assenti e non parteciparono volutamente ai festeggiamenti, ritirati a Tabiano a fare le cure termali. E il 15 settembre il Maestro scrisse a Escudier: “Stassera il Teatro di Busseto si chiude ed io potrò tornare a Sant’Agata a far colazione… e ne ringrazio il cielo”.

Giuseppe Verdi

La piazza di Busseto – dove troneggia il Monumento dedicato al Maestro, opera in bronzo di Luigi Secchi, inaugurato nel 1913 in occasione del primo Centenario Verdiano – luogo d’incontro degli abitanti del paese e sede di un romantico mercato nelle mattinate del martedì e del venerdì, è testimonianza del primo impianto urbanistico della capitale dello Stato Pallavicino, risalente al XV secolo. La Rocca e i palazzi che vi si affacciano presentano delle splendide decorazioni originali in terracotta provenienti dalla medesima bottega e dello stesso periodo è l’Insigne Chiesa Collegiata di San Bartolomeo Apostolo, di cui Giuseppe Verdi fu Maestro di Cappella per oltre due anni, dal 1836. La Chiesa, in stile tardo gotico rinascimentale, oltre a contenere il prezioso organo Serassi su cui il giovane Verdi posò le proprie mani, è impreziosita da numerose opere d’arte, prime fra tutte una serie di affreschi del 1538-39 raffiguranti i Padri e Dottori della Chiesa di Michelangelo Anselmi e quindici tondi del 1576-81 coi Misteri del Rosario attribuiti a Vincenzo Campi, oltre ad una cupola con L’incoronazione della Vergine e una pala d’altare con l’Assunta entrambe dipinte nel 1704 da Giovanni Evangelista Draghi.
Accanto alla Collegiata sorge il quattrocentesco Oratorio della Santissima Trinità, già dedicato al Beato Orlando di cui se ne conservano le reliquie in un sepolcro del 1464. La splendida pala d’altare del 1579, raffigurante la Santissima Trinità con le Sante Apollonia e Lucia, si deve a Vincenzo Campi. Nell’oratorio e precisamente all’altare di sinistra dedicato alla Madonna del Carmine, il 4 maggio 1836 furono celebrate le nozze di Giuseppe Verdi con Margherita Barezzi.
Costruita a un unico piano nella prima metà del XVI secolo, Villa Pallavicino fu la residenza estiva dei signori di Busseto. Presumibilmente il marchese Girolamo, rifugiatosi in Spagna nel 1521 alla morte del padre Cristoforo, rientrò a Busseto nel 1532 e l’anno seguente ospitò l’imperatore Carlo V d’Asburgo che elevò la capitale del feudo al rango di città. Dieci anni più tardi l’imperatore tornò a Busseto, alloggiato al Palazzo di Samboseto, per incontrarsi con il papa Paolo III Farnese, ospite nella rocca, riunitisi ufficialmente a convegno sulla pace della Chiesa.
Più tardi la Villa fu oggetto di ampliamenti e ristrutturazioni, tanto che i lavori proseguirono fino alle soglie del XIX secolo, dando al Palazzo marchionale le sembianze che possono essere ammirate tuttora. L’edificio è circondato da una peschiera, costruita entro il 1561, come testimonia un documento attestante la concessione dell’acqua del canale locale da parte della comunità bussetana. Il padiglione d’accesso fu probabilmente costruito in concomitanza ad altri lavori, come l’erezione del Palazzo del Monte di Pietà e la prima poderosa modifica della stessa Boffalora, per esigenze di rappresentanza dovute al matrimonio del marchese Alessandro di Zibello e Adelaide Fugger di Augusta nel 1694. La portineria, che ha anche la funzione di alloggio per i custodi, ha la struttura architettonica tipica dell’arco di trionfo, il cui progetto fu quasi certamente di Domenico Valmagini. È decorato da stucchi in terracotta raffiguranti i tradizionali motivi del manierismo italiano e un fastigio curvilineo con sipario che si apre su una balaustra, spettanti a Domenico Dossa e Bernardo Barca, cui competono anche gli stucchi delle sale al piano terreno del corpo di nord-est. Ai lati del portale si aprono due nicchie contenenti statue in pietra attribuite al veneziano Giuseppe Torretti, rappresentanti Primavera-Flora con puttino e Autunno-Bacco con faunetto. Alessandro Pallavicino, impegnato nel rinnovamento del palazzo in stile rococò, commissionò le statue per il giardino e per la balaustra della peschiera al Torretti nel 1741. Purtroppo l’apparato scultoreo è andato perduto, conservandosi in parte nei parchi di Villa Verdi a S. Agata e della Rocca Meli Lupi a Soragna.
La facciata della Villa presenta raffinati stucchi di gusto barocchetto alle finestre, opere di Carlo Bossi, bugnati che ritmano gli angoli e cornici marcapiano, che convivono in originale armonia, infondendo leggerezza alla severità classica dell’edificio. A sud del giardino sono situate le scuderie, con pianta a U e ali rivolte verso il palazzo nobile, architettonicamente proporzionate all’edificio principale. Il corpo centrale della Boffalora è una sala quadrata, aperta ai quattro lati: da questo locale deriva il nome del palazzo, che significa “spira l’aria”. La copertura a ombrello di otto spicchi del soffitto dà luogo a dodici lunette, decorate a fresco nel XVI secolo con immagini di grottesche padane, scimmie argute, uccelli multiformi, sirene, tritoni e altre immagini vezzose, orripilanti, talvolta bestiali, ma spesso sensuali. Ciascuno spicchio della volta è occupato da tondi con divinità, tra cui Mercurio, Giove, Venere, Nettuno, Apollo. Non si è certi sul nome del decoratore, presumibilmente Cesare Baglione o ignoto appartenente alla sua scuola. Le volte dell’interno furono interamente affrescate e stuccate durante la fase di restauro e ampliamento, avvenuta tra la fine del XVII secolo e gli inizi del XVIII, il cui progetto fu probabilmente affidato a Antonio Maria Bettoli.
Le decorazioni a fresco delle sale al piano terra del corpo di sud-ovest competono a Giovanni Evangelista Draghi, che raffigurò l’Allegoria della Notte, l’Allegoria del Giorno e un Giovane e Cavallo alati; mentre quelle al piano terra del corpo di nord-est a Pier Ilario Spolverini, con la Fortezza, l’Abbondanza e la Vittoria e Nobiltà, entrambi attivi a Busseto, poi alla corte dei Farnese. I restanti affreschi del piano terreno e quelli del piano superiore sono invece attribuiti a Pietro Rubini, elegantemente incorniciati dalle cornici mistilinee e dagli stucchi di Carlo Bossi, particolarmente interessanti nei motivi scelti per la cappellina, ma soprattutto per le alcove, tra cui spiccano due medaglioni, il primo raffigurante la Vittoria di amore sullo spirito guerriero, presentando Marte trattenuto da Venere e Diana ed Endimione. Le allegorie di Rubini al piano terreno presentano le Arti, l’Architettura e due putti; quelle del piano superiore la Giustizia, la Concordia coniugale e due putti, la Pace, la Gloria, la Magnanimità, il Trionfo delle Virtù sui Vizi, il Valore, la Fortuna, il marchese Pallavicino recante la pianta del piano terreno della Villa, la Sapienza, l’Eternità e la Notte; infine il medaglione del soffitto dello scalone presenta la Vittoria.

Giuseppe Verdi

La costruzione della chiesa di Santa Maria degli Angeli ebbe inizio nel 1470 e quella del chiostro nel 1472, per disposizione testamentaria del 25 luglio 1453 di Orlando Pallavicino il Magnifico, cui dettero esecuzione i figli Gian Lodovico e Pallavicino. È in tradizionale forma tardogotica, nello stile proprio del XV secolo. Le decorazioni in terracotta che adornano gli stipiti del portale sembrano prodotte nella fornace di Jacopo de’ Stavolis, su modelli di Rainaldo. Giuseppe Verdi frequentò la chiesa fin da fanciullo e il 6 gennaio 1836 vi tenne un concerto d’organo, riscuotendo un enorme successo. La tradizione narra che il compositore si fosse ispirato al convento per la composizione de “La Vergine degli Angeli”.
Nella cappella situata nella parete terminale della navatella, che fiancheggia la navata minore di sinistra, è conservato il prezioso Compianto sul Cristo morto di Guido Mazzoni, capolavoro della scultura emiliana del 1476-77. Il gruppo è in terracotta policroma a tutto tondo, con sette figure dolenti che fanno corona al Cristo, rese con straordinaria introspezione psicologica ed intensità emotiva: Giuseppe d’Arimatea, Nicodemo, Maddalena, la Madonna, Maria Cleofe, Maria Salomé, San Giovanni. L’opera fu donata dalla nobile famiglia bussetana Marziani, il cui stemma, con angeli dolenti in stucco ad altorilievo, spicca sulla grotta che ospita il Compianto. L’arredo sacro è impreziosito anche dalla presenza, sulla parete della navata destra, di un affresco staccato e frammentario attribuito a Nicolò dell’Abate, rappresentante Cristo caduto sotto la Croce e la Veronica, dipinto nel 1543-44.
Il chiostro fu oggetto di ampliamenti fino al XIX secolo. Ospita alcuni affreschi attribuiti a Pietro Rubini e altri autori e dipinti vari, alcuni decisamente rimarchevoli, come la Sacra Famiglia con San Giovannino, Sant’Antonio da Padova e altro santo francescano di Antonio Campi, eseguito nel 1579-80, oltre all’Ultima Cena di Michelangelo Anselmi, tela pregiatissima che occupa l’intera parete sullo sfondo del refettorio, realizzata tra il 1538 ed il 1540.
Giuseppe Verdi, amante della buona cucina e del buon vino, andava fiero delle prelibatezze della propria terra, tanto da inviarne ai propri amici, unitamente ai consigli di cottura. Scrisse al conte Arrivabene nel 1872: “Io non diventerò feudatario della Rocca di San Secondo ma posso benissimo mandarti una spalletta di quel Santo. Anzi te l’ho già spedita stamattina colla ferrovia. Quantunque la stagione sia già un po’ avanzata spero la troverai buona, ma devi mangiarla subito prima che arrivi il caldo. Sai tu come va cucinata? Prima di metterla al fuoco bisogna levarla di sale, cioè lasciarla per un paio d’ore nell’acqua tiepida. Dopo si mette al fuoco entro un recipiente che contenga dell’acqua. Deve bollire a fuoco lento per sei ore, poi la lascerai raffreddare nel suo brodo. Fredda che sia, vale a dire circa 24 ore dopo, levala dalla pentola, asciugala e mangiala”. Nel 1890 invece scrisse al soprano Teresa Stolz: “Unitamente a questa mia riceverete dalla Ferrovia una cassetta contenente due spallette uso San Secondo, che noi mandiamo una per voi e una per la famiglia Ricordi. Scegliete quella che volete. Badate che per cuocere bene la spalletta bisogna:
1) Metterla nell’acqua tiepida per circa 12 ore onde levargli il sale.
2) Si mette dopo in altra acqua fredda e si fa bollire a fuoco lento, onde non scoppi, per circa 3 ore e mezza, e forse 4 per la più grossa. Per sapere se la cottura è al punto giusto, si fora la spalletta con un curendets e, se entra facilmente, la spalletta è cotta.
3) Si lascia raffreddare nel proprio brodo e si serve. Guardate soprattutto alla cottura: se è dura non è buona, se è troppo cotta diventa asciutta, stopposa. Ho detto, ho detto, e ora prendo fiato!”
Per raggiungere i luoghi verdiani in automobile si deve prendere l’uscita di Fidenza sulla A1 Milano-Bologna, svoltare a destra per Soragna, dunque a sinistra per Roncole Verdi, dove si trovano la Casa Natale e la chiesa di San Michele. Svoltando a destra si raggiunge il santuario della Beata Vergine, invece proseguendo per la strada principale si arriva a Busseto e a Piazza Verdi, su cui si affacciano il Teatro titolato al Maestro, Casa Barezzi, la chiesa di San Bartolomeo e l’oratorio della Trinità. Poco distanti dal centro sono il Museo Nazionale Giuseppe Verdi di Villa Pallavicino, il Museo Renata Tebaldi nelle Scuderie di Villa Pallavicino e il Convento di Santa Maria degli Angeli. A poco più di tre chilometri, prendendo la statale per Cremona, si trova Sant’Agata con l’incantevole Villa Verdi.