Interviste 2020

Intervista a Michele Spotti

In occasione delle ripresa autunnale del ROF con Il Barbiere di Siviglia, intervistiamo il Maestro Michele Spotti.

Maestro Spotti, il prossimo mese di Novembre sarà chiamato a dirigere la produzione di Barbiere di Siviglia nella prima ripresa autunnale del ROF. Cosa significa prendere parte ad una produzione scenica, così rara oggi, nel contesto dell’emergenza sanitaria Covid?

Riproverò a Pesaro le emozioni già sentite al Petruzzelli di Bari quando lo scorso settembre ho avuto il piacere di dirigere l’Elisir d’amore, prima opera messa in scena da un teatro italiano ad inizio stagione.  Dirigere un’opera al chiuso in un momento storico così drammatico è di per sé emozionante ma sento anche forte la responsabilità di dimostrare che il teatro è un luogo sicuro, controllato e organizzato per ospitare in sicurezza sia gli artisti che il pubblico.

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Michele Spotti

Lei torna a Pesaro dopo aver diretto nel mese di agosto di quest’anno due concerti. Vuole raccontarci quella esperienza avvenuta in un’edizione insolita della famosa manifestazione rossiniana? 

Dirigere davanti a così tante persone all’aperto due concerti così importanti come quelli con Juan Diego Flórez e con tre bravissimi buffi italiani è stata un’esperienza salvifica, per quanto mi riguarda. Percepivo nell’aria una grande voglia da parte del pubblico e degli artisti di ritornare ad avere musica dal vivo, in un format più “pop”, ma assolutamente efficace. I concerti hanno avuto molto successo, oltre alla bravura degli artisti sono stati importanti la loro spontaneità e comunque la ricercatezza dei programmi, non banali o scontati, anzi in linea con lo stile del Rossini Opera Festival.

A proposito di Rossini, il suo debutto nel 2017 con Viaggio a Reims, poi Barbiere di Siviglia quest’autunno e il Signor Bruschino il prossimo anno: ci parli del suo rapporto con la manifestazione pesarese e più in generale con il compositore genius loci.

Posso orgogliosamente definirmi un figlio del Rossini Opera Festival. La collaborazione con il maestro Zedda è stata la scintilla determinante per far scaturire questo amore incondizionato verso il mondo rossiniano, portandomi a scoprire qualità presenti in me che evidentemente mi hanno permesso di essere riconfermato per cinque anni di fila. Il percorso per arrivare all’opera nella manifestazione estiva è stato davvero sudato e guadagnato a piccoli passi. In questi meravigliosi anni ho avuto modo di confrontarmi con le molteplici facce di questo compositore, analizzandone l’aspetto ironico, la vis ritmico-melodica e la genialità espressiva, creando un caleidoscopio di idee e di curiosità. Siamo solo all’inizio! I concerti svolti nelle passate edizioni, sin dal primo entusiasmante Viaggio a Reims, il recital con Nicola Alaimo, i concerti di questa estate, sono stati un importante percorso di crescita sia umana che professionale. 

Negli ultimi due anni è stato protagonista anche al Festival della Valle d’Itria, una manifestazione spesso votata all’esecuzione di titoli poco rappresentati o del tutto usciti dal repertorio più noto al pubblico: ci vuole raccontare qualcosa in merito?  

L’esperienza di Martina Franca è stata altrettanto formativa per me. La fortuna di incrociare nel mio percorso una personalità come Alberto Triola ha fatto il resto. Si è subito creata una forte alchimia con lui e col festival. Una magia, quella di questa piccola città che si trasforma in un crocevia di artisti fenomenali, tutti concentrati in poche settimane. Un vero miracolo. La mia prima esperienza a Martina Franca è stata con un’opera, che ora sta tornando in cartellone in maniera sempre più frequente, Il Matrimonio Segreto di Cimarosa. La seconda esperienza è stata incentrata sul mondo straussiano, dirigendo “Der Bürger als Edelmann” nella sua versione integrale del 1917. La collaborazione con grandi artisti, la fortuna di conoscere un direttore eccelso come Fabio Luisi e un clima di serena e sagace dedizione, hanno portato a risultati che sono stati molto apprezzati. Per questo ringrazio ancora l’orchestra della Fondazione Teatro Petruzzelli con la quale si è rinsaldato ulteriormente un legame artistico iniziato appunto a Martina Franca e proseguito con l’Elisir d’amore del quale abbiamo detto. 

Ruolo primario del Direttore d’Orchestra è quello di concertare: com’è il suo processo di studio e preparazione di una partitura?

La concertazione è la base da porre per la buona riuscita di un concerto. È anche la chiave di volta per trovare un feeling con i professori d’orchestra e coi solisti. La concertazione nasce da uno studio approfondito, condito anche da idee personali, determinanti per ottenere l’interpretazione personale. La fortuna di venire da uno strumento ad arco, per la precisione il violino, mi ha permesso di conoscere in maniera molto pratica le difficoltà tecniche di vari passaggi, sapendole prevenire e ovviare in certi casi. Gli studi di canto, composizione e pianoforte mi hanno dato una tavolozza di possibilità dalla quali attingere per poi completare la gestione di una prova. 

Il rapporto fra il Direttore ed il regista: odio? amore? E con i cantanti? 

Un regista che rispetta la partitura, rispetta il compositore, rispetta le dinamiche del teatro d’opera non considerandolo come teatro di prosa, diventa un partner ideale per la buona riuscita di uno spettacolo. La regia è una componente fondamentale per la completezza di uno spettacolo. Va rispettata, va sostenuta, va sottolineata, purché ci sia una collaborazione che non metta minimamente a repentaglio la buona riuscita musicale. Per quanto riguarda il rapporto con i solisti, penso che sia uno degli aspetti più affascinanti del mio lavoro. Più è grande un interprete, più è facile trovargli un abito su misura. Trovo affascinante il lavoro di ricerca soprattutto nel belcanto, dove le possibilità di cadenze, variazioni e adattamenti vocali si prestano fortemente a un’esplorazione creativa.

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Michele Spotti

I teatri all’epoca del Covid: in questi ultimi mesi abbiamo assistito ad una vera e propria rivoluzione nel modo di intendere lo spettacolo d’opera: qual è il punto di vista di un Direttore d’Orchestra? Dalle difficoltà contingenti possono nascere opportunità? 

Questo periodo ha messo a nudo alcuni aspetti fondamentali. Il primo è la necessità di musica dal vivo. Anche se lo streaming è stato determinante per mantenere un legame con il mondo del teatro in generale, tornando a far musica abbiamo avuto la riprova che solamente assistendo a qualcosa di vivo, alla creazione istantanea delle emozioni musicali, si può gustare maggiormente la bellezza di quest’arte. Lo streaming ha potenzialmente anche avvicinato un range di persone molto ampio. Speriamo che fra queste, soprattutto in chi non è un habitué del teatro, possa nascere la curiosità per venire a sentire concerti dal vivo. Quanto alla figura del direttore d’orchestra, per definizione è più isolata. Siamo sempre posizionati a distanza dai solisti e dai professori d’orchestra, pertanto le differenze sostanziali pre e post Covid sono davvero esigue. 

Un musicista spesso è in viaggio: luoghi, teatri, colleghi? Chi o cosa ricorda con particolare affetto? Cosa è cambiato con il Covid?

Il Covid è stata ed è tutt’ora una tragedia mondiale paragonabile a una guerra, con conseguenze terribili per ciò che concerne l’economia globale. I Teatri sono stati tra le prime vittime. Ma il mio pensiero in questo momento va in particolare ad una categoria colpita ancora più duramente, gli anziani. Avendo avuto un lutto in famiglia per questa pandemia, sento forte la necessità di proteggere i nostri vecchi, patrimonio inestimabile di saggezza ed esperienza dalle quali dovremmo attingere come assetati presso un pozzo. Col Covid continuiamo a convivere con la paura, anche nelle più banali incombenze quotidiane. La musica in questo caso deve essere un etere di felicità, una fonte di energia, una medicina per fortificare l’animo in attesa di poter ritornare alla vita di tutti i giorni. 

Il rapporto con il pubblico: il direttore d’orchestra ricopre un ruolo fondamentale nel trasmettere le emozioni dei compositori: come è cambiato in questi mesi il pubblico teatrale? Si può parlare di un nuovo tipo di pubblico post pandemia? 

Io penso che un direttore d’orchestra abbia il compito di raccontare una storia, ma anche di emozionare chi ascolta, rispettando le volontà del compositore e filtrandole attraverso la propria personalità. Il rapporto col pubblico deve essere immutato. Il pubblico è una linfa vitale per chi si esibisce, perché fare musica è donare emozioni a chi ti circonda. Dirigere in un teatro vuoto è davvero mortificante. Io penso che il pubblico post Covid sarà assetato di musica e ulteriormente desideroso e smanioso di gustarsi un capolavoro dal vivo, conscio della preziosità di ciò che si sta avendo, il piacere di vedere e di ascoltare.

Quali partiture le piacerebbe dirigere? In quali teatri la vedremo prossimamente?

 A domanda secca do una risposta secca. Per quanto riguarda l’opera il mio sogno è Falstaff di Verdi, per quanto riguarda il repertorio sinfonico “Le Sacre du Printemps”. Sono due partiture che sento scorrere nelle vene e con le quali non vedo l’ora di confrontarmi. I prossimi impegni saranno in teatri importanti e istituzioni sinfoniche in Italia e all’estero, compresi il Teatro Massimo di Palermo, la Filarmonica Toscanini e la Bayerische Staatsoper.