2011

Concerti 2011

DANIEL BARENBOIM [Lukas Francescgini] Verona, 5 settembre 2011.
Il primo grande appuntamento al Settembre dell’Accademia Filarmonica 2011 è stato la presenza del direttore argentino Daniel Barenboim con l’Orchestra Filarmonica della Scala.
Il programma era un classico del grande repertorio Rossini, Mozart e Beethoven, presentato la sera prima al Mito di Milano. La Filarmonica della Scala è una realtà irreprensibile da quasi trent’anni, cui non servono altre parole per descrivere l’eccelso livello qualitativo. Lo stesso discorso vale anche per Barenboim, pianista e direttore, ma non sempre “re Mida”, un aspetto che si è potuto verificare proprio negli ultimi anni con l’incarico di “direttore scaligero”. L’iniziale sinfonia dall’opera Semiramide di Gioachino Rossini ha fatto notare che questo repertorio non è pane per i suoi denti. Il direttore non ha mai affrontato in teatro opere del pesarese ma questo non esclude che l’esecuzione di una sinfonia non possa essere un punto di felice esecuzione, invece è mancata la cifra stilistica, l’aplomb e il ritmo, elementi predominanti in quest’ultimo lavoro italiano di Rossini. L’orchestra ha un ottimo suono, però gli ottoni non sono perfetti e c’è stata qualche scivolata delle trombe; l’esecuzione di Barenboim è stilizzata ma troppo “romantica” difettando soprattutto nel gioco dei colori, nei crescendo, nei rubati, nei pizzicati degli archi. Il clima cambia notevolmente subito dopo quando il direttore si siede e diventa anche pianista nel Concerto per pianoforte e orchestra n. 26 K 537 di Wolfgang Amadeus Mozart. E’ stato scelto uno dei concerti meno famosi e meno eseguiti del salisburghese, ma è capolavoro straordinario di rara bellezza e atto a molteplici interpretazioni. Qui la mano di Barenboim è crepuscolare e crea un suono mai ostentato di sofisticata armonia, cui l’apporto compatto e manierato dell’orchestra crea un tutt’uno di raro ascolto. Nella seconda parte ecco invece un emblema del sinfonismo classico: la Sinfonia n. 3 Op. 55 “Eroica”di Ludwig van Beethoven. Possiamo affermare che è la partitura del rinnovamento nella produzione beethoviana perché sciolta e comunicativa nelle melodie come altrettanto grandiosa nelle proporzioni. I tempi decisamente ampliati hanno un ricco e variegato sviluppo del tema, i fiati sono valorizzati contribuendo ad un equilibrio orchestrale di rilevante struttura armonica. Barenboim ritorna sul podio proponendo una lettura classica, forse a tratti lenta, ma il suono era suggestivo e lo sviluppo dei tempi di grande effetto. Non manca di curare parsimoniosamente le dinamiche e soprattutto il fraseggio musicale, erogando con merito nel finale l’aspetto della statuaria interpretazione stilistica. Il pubblico, che gremiva il teatro in ogni ordine, ha tributato al direttore e all’orchestra un’interminabile ovazione.

ANTONIO PAPPANO [Lukas Franceschini] Verona, 20 settembre 2011.
Il quarto concerto del Settembre dell’Accademia Filarmonica ha visto il debutto di Antonio Pappano a Verona con la “sua” Orchestra italiana ovvero dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia.
Il programma prevedeva musiche di Giacomo Puccini, Sergej Rachmaninov e Nikolaj Rimskij-Korsakov. Del compositore toscano è stato eseguito Preludio Sinfonico una composizione giovanile ruvida ma già indicativa sulle qualità di Puccini che da lì a poco sfoceranno nei celebri capolavori operistici. Il pezzo forte della prima parte è stato il Concerto per pianoforte e orchestra n. 2 di Rachmaninov. La composizione segna il rientro del compositore dopo un periodo di depressione. E’ interessante notare che Rachmaninov affermava: “La musica di un compositore dovrebbe esprimere il paese ove è nato, le sue storie d’amore, i libri che l’hanno influenzato, i quadri che egli ama, dovrebbe essere la somma dell’esperienza stessa del compositore”.Il secondo concerto, non il più famoso ed eseguito, offre una gamma di virtuosismo alla tastiera di eccezionale dinamica ed espressione, segnando orchestralmente quadri espressivi a forti tinte e altrettanta passionalità tipicamente russa. Il pianista, parallelamente, deve inserirsi in questo clima veemente con forza, perizia tecnica ed enfasi laddove è innegabile il ruolo del solista, il quale spesso si uniforma al numeroso organico in un’imperiosa armonia. Denis Matsuev è pianista di gran classe con precisa tecnica e rigore stilistico, si misura con forte sensibilità, forse non totalmente armonioso, ma l’impeto e il colore sono ammirevoli. Pappano ricerca un suono uniforme valorizzando tutte le singole parti dell’orchestra ma rendendosi sempre presente con una fenomenale orchestrazione soprattutto nella tinta sfarzosa e trascinante. Nella seconda parte è stata eseguita la suite Shéhérazade, nella quale la forza descrittiva degli ambienti e delle situazioni è davvero spettacolare. Composta in soli cinque mesi nel 1888 s’ispira ai racconti Mille e una notte, un tributo all’esotismo tanto in voga alla fine del XIX secolo. In questo caso Pappano sceglie una lettura sinfonica dai tempi molto rallentati, i quali per alcuni versi sono anche suggestivi, ma personalmente penso che un vigore più marcato sarebbe stato più opportuno. Le varie pagine multicolori erano ben dosate, eccezionali gli interventi degli strumenti solisti quando si trattava di fagotto e tromba, sotto il livello di guardia la performance del primo violino, troppo impreciso. L’orchestra si adatta splendidamente a questa lettura, regge sempre un suono compatto a tratti fiabesco esaltando la propria duttilità, ma purtroppo non riusciva ad essere travolgente come ci sarebbe aspettato. L’esibizione è terminata con due bis mozzafiato: l’Intermezzo da Manon Lescaut di Puccini di altissima espressione, e un’euforizzante esecuzione della Danza delle ore della notte dalla Giocondadi Amilcare Ponchielli.

LEO NUCCI [William Fratti] Parma, 28 ottobre 2011.
Un emozionante recital dell’intramontabile Leo Nucci, nel giorno del suo quarantesimo anniversario di nozze, conclude il Festival Verdi 2011 al Teatro Regio di Parma gremito di tanti appassionati. “La parola scenica” è il titolo di questa serata e fa riferimento a Verdi stesso: “Non so s’io mi spiego dicendo parola scenica; ma io intendo dire la parola che colpisce e rende netta ed evidente la situazione…
So bene ch’ella  mi dirà: E il verso, la rima, la strofa… Non so che dire: ma io quando l’azione lo domanda, abbandonerei subito ritmo, rima, strofa, farei versi sciolti per poter dire chiaro e netto tutto quello che l’azione esige […]. Per parole sceniche intendo quelle che scolpiscono una situazione od un carattere, le quali sono sempre anche potentissime sul pubblico. So bene che talvolta è difficile darle forma eletta e poetica. Ma… (perdonate la bestemmia) tanto il poeta che il maestro devono avere il talento e il coraggio di non fare né poesia né musica”.
Leo Nucci, oggi, è l’interprete verdiano che più si addice ad un simile contesto, esperto fraseggiatore, cantante espressivo, maestro nel porre gli accenti e nell’usare i chiaroscuri. La prima parte del concerto è quasi interamente dedicata ad alcune delle romanze scritte in gioventù dal compositore bussetano; la più tarda è la “Preghiera del poeta” musicata al tempo di Un ballo in maschera; ed è un vero piacere udire questi pezzi così poco rappresentati. Il celebre baritono conclude con la gran scena ed aria da Ernani “Gran Dio! Costor sui sepolcrali marmi” strappando al pubblico parmigiano il primo interminabile applauso.
La seconda parte del concerto è interamente dedicata all’opera: “Mal per me che m’affidai” dalla versione del 1847 di Macbeth, “In braccio alle dovizie” da I vespri siciliani, “Credo in un Dio crudel che m’ha creato” da Otello, “È sogno? O realtà” da Falstaff. Leo Nucci dimostra chiaramente di essere in perfetta forma e di avere molto da insegnare alle giovani generazioni.
Lo spettacolo si conclude infine con una serie di bis: “Di Provenza il mar, il suol” da La traviata, eseguita con eccellenti fiati e raffinatissimi piani, “Eri tu” da Un ballo in maschera, al cui termine giunge una voce dalla sala: “Leo sei come il vino”, “Cortigiani, vil razza dannata” da Rigoletto.
La serata è davvero emozionante, Leo Nucci è intenso e toccante. Lo accompagnano gli eccezionali Paolo Marcarini al pianoforte, autore degli arrangiamenti eseguiti sui temi de La seduzione, Aida, Otello e Falstaff, Anna Loro all’arpa e Massimo Repellini al violoncello.
Tra gli applausi finali, prima di tornare dietro le quinte, Leo Nucci dichiara: “W Verdi”!

GEORGES PRÊTRE [Lukas Franceschini] Verona, 28 ottobre 2011.
La mitica orchestra austriaca, i Wiener Philharmoniker, per la seconda volta nella sua lunga storia si è esibita a Verona all’interno della rassegna Il Settembre dell’Accademia. Nell’odierno appuntamento sul podio è salito il direttore francese Georges Prêtre, un’icona della bacchetta internazionale oltre probabilmente al più longevo concertatore ancora in attività.
Il programma, notevolmente d’oltralpe, prevedeva l’esecuzione delle Sinfonie n. 7 di Franz Schubert e Anton Bruckner. Dell’“Incompiuta” di Schubert, catalogata sia come 7 sia 8, a seconda della cronologia, alla morte del compositore risultavano completati solo i primi due movimenti, Allegro moderato e Andante con moto, mentre del terzo movimento, Scherzo, rimane lo spartito per pianoforte quasi completo. Sono ignoti i motivi per cui Schubert non completò la sinfonia, è invece curiosa la tonalità in si min. che costituisce in parte un primo approccio di accomodamento al romanticismo. La prima esecuzione avvenne postuma a Monaco di Baviera presso la Gesellschaft der Musikfreunde il 17 dicembre 1865. Il compositore aveva donato la partitura ad Anselm Huttebrenner in segno di un riconoscimento per un diploma onorifico ricevuto precedentemente, e fu lo stesso Huttenbrenner a darla a Johann Herbeck che la diresse in prima assoluta. Si possono cogliere egualmente nei soli due movimenti composti un dualismo di sentimenti che si sviluppa in un confronto di energie, asso portante della partitura. Con Bruckner ci spostiamo di circa cinquant’anni verso la fine del XIX secolo, ovvero al 1883. Il sinfonismo del compositore costituisce un caso se stante nel complesso e variegato panorama musicale del tempo. Bruckner seppur legato da amicizia con Strauss e Brahms, si distacca da questi per la solennità del pensiero, talvolta anche sacro, o come nel caso della Settima per la monumentalità, che probabilmente s’ispira forse a Beethoven. Non si può sottovalutare nella sua scrittura il modello wagneriano fondato sull’armonia, sulle ampie linee melodiche e nel cospicuo apparato orchestrale. Sembra scontato, se non superfluo, che il concerto dei Wiener a Verona era caratterizzato da un suono di primordine, peculiarità cui l’orchestra da sempre ci ha abituati. La concertazione di Prêtre invece si faceva valere per il rigore del classicismo. In Schubert trova i prefetti colori dell’introversa forma inventiva, cui le sfumature e l’elegante gesto ed oserei affermare rasentano la perfezione se non leggermente calibrati da una lentezza, la quale non sempre viene a discapito ma in pieno equilibrio interpretativo, la resa del dettaglio visto nello stile “viennese” sono puramente esemplari. Sulla stessa linea è l’approccio con Bruckner, ma qui prevalgono sicuramente colori più smaglianti, anche in considerazione della diversa e più corposa compagine orchestrale. Il limpido camerismo, la lievità dell’intimismo nell’Adagio, ma anche la poetica musicale sviluppata nel finale con aderenza stilistica ragguardevole. Il travolgente estro, l’impagabile suono compatto ed emozionante, contribuiscono all’elevata interpretazione del maestro in assoluta sintonia e perfezione con l’orchestra. Partiture dirette entrambe a memoria con piglio di partecipazione totale, cui al termine sono giustamente stati attribuiti interminabili applausi.

SEMYON BYCHKOV, RENAUD E GAUTIER CAPUÇON [Lukas Franceschini] Ferrara, 24 novembre 2011.
Il concerto svoltosi all’interno della rassegna Ferrara Musica riveste l’aspetto d’eccezionalità. La presenza della Chamber Orchestra of Europe è qualificante se stessa e non ha bisogno certo di presentazioni tantomeno di laudi, è complesso che brilla da solo e l’esecuzione ferrarese ha confermato queste prerogative. Sul podio c’era una delle bacchette internazionali più affermate, Semyon Bychkov, solisti i fratelli Renaud (violino) e Gautier (violoncello) Capuçon che rappresentano la nuova generazione del solista.
Il programma, tipicamente tedesco Brahms e Schubert, vantava la peculiarità di presentare le ultime composizioni per orchestra degli autori. Il Concerto in la minore op. 102 è l’ultima creazione sinfonica di Johannes Brahms e fu eseguito per la prima volta nel 1887 a Thun in Svizzera. L’insolita scelta del doppio concerto da parte di Brahms è da collegare alla ripresa dei rapporti con uno dei suoi più cari e celebri amici, il grande violinista Joseph Joachim. La partitura si rifà alla sinfonia concertante un genere che godette grandi favori nel Settecento, ma sparì completamente nell’età romantica. Il concerto non incontrò particolari accoglienze allora sebbene possa competere per qualità strumentale con la produzione brahmsiana delle sinfonie e dei concerti per pianoforte e per violino. Accostandosi al genere della sinfonia concertante, Brahms ne suggerisce anche le architetture formali, sia pure ampliate e sviluppate fino a renderle difficilmente individuabili ad un primo ascolto. Come affermato da illustri musicologi, il Concerto ha un tocco leggero in apparenza estraneo alla solennità tragica di altri lavori ma riflette una melanconica realizzazione della spensierata e perduta gioventù. La perizia tecnica dei fratelli Capuçon è tratto immediatamente avvertibile sia nella cadenza del violoncello sia nel tema del violino, il quale riprende il tema dell’altro arco. L’eccellente esecuzione è via via stemperata da un’interpretazione di ottima finitura cui lo stile è comune denominatore dei due solisti, abituati anche al concerto in simbiosi. Nel rondò finale non mancano mirabili arcate di suono adamantino nell’irregolaritàanticonformista della partitura. La bacchetta di Bychkov è ferma e severa, ma particolarmente emozionante nel lirismo del secondo movimento, ed è capace di plasmare l’orchestra in un suono compatto nelle lunghe sezioni dei tempi. I Capuçon hanno eseguito come bis la Trascrizione per violino e violoncello di Halvorsen (tratta della Passacaglia per Clavicembalo di Händel) e ancora una volta hanno fatto valere le loro straordinarie doti in “duetto” virtuosistico d’altissimo valore. Anche la Sinfonia in Do Magg. “La Grande” di Franz Schubert, sua ultima composizione, rivela una discontinuità con i lavori precedenti. Bocciata per un’esecuzione pubblica dalla Società degli Amici della Musica di Vienna fu eseguita postuma. L’autografo passato in eredità al fratello Ferdinand fu scoperto da Schumann nel 1839, che ne restò entusiasta tanto che a stretto giro di tempo fu eseguita al Gewanhaus di Lipsia diretta da Mendelssohn. Lo stesso Schumann ebbe a scrivere: “Chi non conosce questa sinfonia, conosce Schubert canora troppo poco e questa lode parrà quasi incredibile se si pensa a tutto quello che Schubert ha già donato al mondo dell’Arte Musicale”. Infatti, il compositore, liberamente ispirato dall’ascolto della Sinfonia n. 9 di Beethoven, apre la partitura con una grandiosità sorprendente per passare nel secondo movimento al delicato tema di marcia sopraffatto poi dalla morbida e dolce cantabilità che dominerà l’intera sezione. Il terzo movimento è una spiritosa idea che assomiglia ad una danza dal ritmo campestre terminando in un binario tema di gioco di danza e marzialità: E’ un testamento musicale di altissimo valore che controvoglia esprime sentimenti di gioia e di fuga alternati ad uno stato depressivo cui il compositore soffriva, ma offre uno squarcio unico di un futuro che forse sarebbe stato diverso se il destino non avesse chiuso la vita terrena di Schubert a soli trentun anni. In questo caso il maestro Semyon Bychkov giustamente cambia registro ed è l’armonia ad avere una linea di direttiva particolarmente struggente, quasi fiabesca nel secondo movimento ma riserva un dinamismo in tutte le sezioni e nella parte conclusiva, molto secca ed incalzante, esprime una lettura molto personale classicista ma apprezzata. Trionfale successo al termine.

MESSIAH [Lukas Franceschini] Verona, 16 dicembre 2011.
Il concerto “Natalizio” della Stagione Concertistica al Teatro Filarmonico di Verona è stato dedicato a Händel con l’esecuzione del Messiah, per la prima volta diretto dal giovane Daniele Rustioni. Messiah è un oratorio in tre parti di Georg Friedrich Händel e probabilmente si tratta della sua composizione più celebre. Il libretto, basato su testi biblici, è opera di quel Charles Jennes, già collaboratore del musicista, che suggerì e convinse Händel a questa nuova fatica da eseguirsi durante la Settimana Santa. Il musicista all’inizio dimostrò varie perplessità perché sue recenti opere liriche non ebbero il successo sperato, ma il successivo invito per alcuni concerti a Dublino lo convinse definitivamente alla composizione.
Händel scrisse come di consuetudine con velocità e utilizzò in parte musiche già esistenti. Recatosi a Dublino, ivi il 2 ottobre 1741 fu inaugurato il “Mr Neale’s Great Musick Hall in Fishamble Street” l’oratorio ebbe la sua prima esecuzione il 13 aprile 1742, preceduto nell’autunno anteriore dall’esecuzione de L’Allegro, il Pensieroso ed il Moderato. Rientrato a Londra, Händel ebbe varie problematiche con l’esecuzione dei suoi oratori, compreso Messiah, perche essendo tratti da testi biblici vennero per lungo tempo accusati di blasfemia.
Il compositore stesso diresse Messiah in numerose occasioni, modificandolo sovente per adattarlo alle più correnti esigenze. Conseguentemente nessuna versione può essere considerata autentica e tante modifiche e arrangiamenti si sono aggiunti nei secoli seguenti, il cui più famoso è quello di Wolfgang Amadeus Mozart. Il brano più celebre dell’oratorio è l’Allelujah, che conclude la seconda delle tre parti dell’opera. La melodia dell’Alleluja fu poi ripresa dallo stesso Händel nel Concerto per organo e orchestra HWV 308. In alcuni paesi è d’uso che il pubblico si alzi in piedi durante questa parte dell’esecuzione prendendo spunto dal curioso comportamento che ebbe re Giorgio II quando sentì questo coro per la prima volta, il quale essendo molto agitato, balzò in piedi seguito da tutta la corte ed il pubblico. Messiah e Israel in Egypt, sono gli unici oratori di Händel il cui testo consiste esclusivamente in versi biblici.
L’esecuzione avvenuta a Verona dimostra quanto il teatro e la concertistica nella loro esecuzione rivelino momenti differenti anche nel ristretto spazio di un giorno. La sera precedente al concerto abbiamo assistito alla seconda replica dell’opera Falstaff con lo stesso direttore, orchestra e coro, di cui abbiamo già parlato nelle pagine precedenti. Ebbene la performance dell’oratorio handeliano ha riservato una sorpresa inaspettata per prassi esecutiva da parte dei complessi dell’Arena di Verona, del direttore e delle parti solistiche.
Daniele Rustioni alla sua prima concertazione del Messiah, ha dichiarato che tale repertorio non è ad esclusiva esecuzione di orchestre specializzate nel repertorio barocco e con strumenti originali. Siamo d’accordo con lui ed inoltre non sarebbe stata possibile tale prassi considerando che l’orchestra a disposizione non è per nulla di tale cifra seppur, quando volenterosa, malleabile a repertori diversi. Abbiamo avuto una concertazione di livello cameristico ma non escludendo una varia, plasmata e vivace armonia di colore orchestrale cui va aggiunta un’eccellente simbiosi tra i diversi settori della formazione strumentale. L’eccellenza dimostrata dall’orchestra parallela alle intenzioni del direttore è sorprendente se paragonata all’opera del giorno prima, cui bisogna accomunare lo straordinario apporto del coro, istruito da Armando Tasso,  in serata magica per intensità e aderenza di stile alla partitura. Non v’è dubbio che il direttore sente particolarmente questo spartito e lo dimostra con una direzione animata, quasi entusiasta, con risultati sorprendenti. Adopera dei tagli adeguati, in conformità alla prassi non filologica inglese, ma nelle parti II e III talvolta eccessivi.
Il quartetto dei solisti ha mostrato che il basso Antonio Abete, eccellente nella musica antica, non è proprio a suo agio nel barocco soprattutto con la coloratura del belcanto pur dimostrando una certa pertinenza della declamazione del recitativo.
Manuela Custer si adopera con molta più convinzione distinguendosi come di consueto in variazioni personali ma ben eseguite, il timbro è particolarmente brunito tanto da renderla interprete a tutto tondo e gli è pregio non imitare blasonate esecuzioni del passato.
Bella sorpresa il soprano Margriet Buchberger eccellente nella linea di canto e tecnicamente agguerrita, come il tenore Robin Tritschler inappuntabile fraseggiatore ed impagabile vocalista del quale è emersa una particolare predisposizione per tale repertorio.
Il teatro era sufficientemente gremito, seppur non esaurito, per un’esecuzione senza intervallo che il pubblico ha particolarmente gradito e calorosamente applaudito, al termine della quale il direttore ha concesso il bis dell’Alleluja.

GRANDI VOCI IN LIBERTÀ [William Fratti] Fidenza, 21 dicembre 2011.
La Stagione Lirico Concertistica 2011-2012 del Teatro Magnani di Fidenza, organizzata dal Gruppo Promozione Musicale Tullio Marchetti in collaborazione con il Comune di Fidenza, prosegue con il Concerto Lirico Grandi voci in libertà, presentato da Paolo Zoppi.
Il soprano Serena Daolio rimpiazza l’assente Dimitra Theodossiou, sortendo con un’esecuzione non troppo limpida di “Tacea la notte placida” da Il trovatore, purtroppo intrisa di imperfezioni ed imprecisioni, soprattutto nell’intonazione. Lo stesso vale per il conclusivo “Vissi d’arte” da Tosca e per il bis “O soave fanciulla” da La Bohème. Il brano meglio riuscito è la più semplice “Ave Maria” da Otello, con un bel pianissimo nella cadenza.
Il tenore Romolo Tisano inizia la sua esibizione con la facilissima “Una furtiva lagrima” da L’Elisir d’amore, corretta e lineare, per proseguire con “De’ miei bollenti spiriti” da La traviata, senza cabaletta, ciononostante con molta fatica nelle note più acute. Termina il programma con “La donna è mobile” da Rigoletto e purtroppo l’acuto finale è pressoché vergognoso. Decisamente sotto le righe è anche il bis eseguito con Serena Daolio.
Il baritono Sergio Bologna sostituisce l’indisposto Gianfranco Montresor ed inizia il concerto con l’ardua “Votre toast… Toreador” da Carmen, imbattendosi nelle medesime difficoltà sulle note basse di tanti altri interpreti. Ben eseguita è la successiva “Di Provenza” da La traviata, dove l’artista mostra una piacevole linea di canto, con una buona proiezione anche sui pianissimi. Meno riuscita è invece la morte di Rodrigo da Don Carlo, mancando nello spessore vocale e soprattutto avendo difficoltà nel portare i centri verso l’alto. Corretto è il bis, con il duetto “Suoni la tromba” da I Puritani.
Il basso Michele Pertusi è il vero Re della serata. Nelle verdiane “Il lacerato spirito” da Simon Boccanegra e “Infelice, e tu credevi” da Ernani si prodiga in un fraseggio toccante e altamente espressivo, con un cantabile perfettamente omogeneo, ricco di colori e ben saldo nell’acuto. L’aria della calunnia da Il barbiere di Siviglia è la perfetta conclusione del concerto, che anticipa solamente il ben riuscito duetto belliniano, dove l’artista parmigiano dimostra di continuare ad essere un primario interprete del belcanto. Ad accompagnare i solisti è la precisa Orchestra Filarmonica Terre Verdiane diretta dall’abile bacchetta di Marco Dallara.