In 54 anni di carriera questo resta l’unico tonfo del compositore, all’inizio ci furono anche altri titoli non particolarmente graditi dal pubblico o dalla critica, poi titoli con buon successo e molti trionfi, pertanto non è irrispettoso definire Un giorno di regno la piu infelice. Per l’occasione è stato riproposto lo spettacolo creato ed interamente firmato da Pier Luigi Pizzi nel 1997 per il palcoscenico parmigiano, andato nuovamente in scena nel 2001 al Teatro Comunale di Bologna, al Municipale di Piacenza e alla Scala di Milano.
Questa affermazione può dar adito a commenti e dissensi di vario tipo, ma chi scrive trova assurdo non poter considerare che quest’opera è la piu debole, la piu mal strutturata e la piu estranea all’estro compositivo di Verdi. Gabriele Baldini, nel programma di sala, elenca tutte una serie di giustificazioni a difesa del compositore, le quali certamente sono attente, scrupolose e veritiere ma non sovvengono l’esito dello spartito. Sintetizzando si può affermare che il libretto era datato (1818) anche se per penna di Felice Romani, la struttura dell’opera era tipicamente quella buffa settecentesca e la compagnia di canto alla prima era scadente. Tutte situazioni che sommate ad una vistosa estraneità del compositore verso il genere buffo, hanno creato questo insuccesso. Comunque nell’opera non mancano certo arie o momenti felici, come l’aria di sortita della Marchesa del Poggio, il duetto Belfiore-Edoardo e i due duetti dei bassi buffi, ma in generale zoppica, è stantia e musicalmente si riscontra un forte divario tra primo e secondo atto. Come riporta Budden, se paragonata a simili partiture coeve, Don Pasquale, La fille du regiment o anche L’elisir d’amore, ne fa una gran magra figura. Lo spettacolo al Regio era una ripresa di una produzione di successo del 1997, poi allestita nel 2001 a Bologna, curata per intero da Pier Luigi Pizzi, il quale con arguta fantasia incornicia il canovaccio in un astratto ‘700, ben regolarizzato da movimenti ritmici e ben guidando, per quanto possibile, i sei protagonisti. Bellissime le scene, con cambi a vista, sfarzosi e sgargianti i costumi. Delizioso, infine, l’omaggio alla città di Parma nella scena prima del II atto ambientata nella dispensa del palazzo adornata da prosciutti e forme di parmigiano. Sul podio un Donato Renzetti, non particolarmente persuasivo, direi accomandante e discreto accompagnatore, senza verve e mordente, diversamente dai precedenti Foscari. L’orchestra era in parte appannata e il coro sempre puntuale e preciso non è certo emerso perché gli interventi nell’opera sono uno dei punti piu deboli. Quando si riprendono tali partiture il minimo denominatore dovrebbe essere un grande cast, il quale aiuta a sopperire in parte a lacune compositive, ma in questa occasione, diversamente delle precedenti del ’97 e del ’01, l’accortezza latitava.
Anna Caterina Antonacci, unica del cast presente nelle citate precedenti edizioni, è forse stata la migliore per garbo stile, puntualità e fraseggio, anche se attualmente il registro acuto e forzato e tremulo. Altro elemento di lode è Paolo Bordogna che sempre più si conferma ottimo cantante, brillante attore soprattutto nel repertorio buffo, musicale e vivace belcantista. Tutti gli altri erano molto inferiori alle aspettative, Guido Loconsolo monotono e gutturale Belfiore, Alessandra Marianelli una precisa Giulietta ma fin troppo esile e vibrata, Andrea Porta era un fiacco e limitato Klebar. Ivan Magrì, Edoardo, è un giovane ancora troppo acerbo, il quale sfoggia sicuramente un registro acuto interessante ma monocorde e la carenza tecnica è lampante, tanto che nella difficile aria del II atto è inciampato piu volte in clamorosi incidenti, che fortunatamente il temibile loggione ha solo apostrofato con qualche mugugno. Al termine successo cordiale.
Parma, 31 gennaio e 9 febbraio 2010. Un giorno di regno, seconda opera di Giuseppe Verdi, sua unica incursione nel genere comico prima di Falstaff – l’ultimo capolavoro del genio bussetano – ha aperto la Stagione Lirica 2010, proseguendo l’ambizioso progetto del Teatro Regio di Parmadi completare l’intero lavoro verdiano prima del Bicentenario del 2013, riprendendo ad alta risoluzione ognuna delle opere rappresentate.
L’imponente impianto scenografico neoclassico ed i colorati costumi settecenteschi non sembrano affatto invecchiati, godendo ancora della freschezza e dell’eleganza tipiche del regista milanese, che si è avvalso delle luci belle e suggestive di Vincenzo Raponi e delle coreografie di Luca Veggetti, semplici e d’effetto in alcuni punti, leggermente banali in altri.
Ad avvalorare la rappresentazione di domenica 31 gennaio è la partecipazione di Anna Caterina Antonacci, già titolare del ruolo della Marchesa del Poggio nella produzione originale di Parma e nelle riprese bolognesi e piacentine. La cantante ferrarese, che possedendo una voce scura e particolarmente flessibile è in grado di interpretare parti sopranili e mezzosopranili, molto apprezzata nel repertorio barocco e belcantista, è propriamente adatta a vestire i panni della Marchesa, ruolo inizialmente scritto per soprano, ma più confacente ad una vocalità brunita, che possieda corposità nelle note gravi e centrali. La Signora Antonacci entra in scena con la celebre cavatina “Ah! Non m’hanno ingannata!... Grave a core innamorato” e si prodiga in un canto efficace, sicura nelle pagine più liriche, abile nel trillo e nelle agilità della cabaletta “Se dee cader la vedova”.
Ma è nel secondo atto che l’artista mostra intensità, salde doti tecniche e un buon uso dei chiaroscuri, con “Si mostri a chi l’adora” arricchendo la successiva cabaletta “Sì, scordar saprò l’infido” con interessanti variazioni. L’arduo si acuto, scritto da Verdi in un’aria che scende al la grave, non è perfettamente pulito, ma non è certo motivo di critica ed il pubblico accoglie calorosamente Anna Caterina Antonacci con uno scrosciate applauso e grida di approvazione.
Il ruolo del protagonista è affidato al giovane baritono Guido Loconsolo, che possiede una buona linea di canto, ma pare più adatto ad un repertorio differente. Il Cavalier Belfiore in effetti può essere considerato un ruolo protoverdiano, già precursore di Nabucco e necessiterebbe di maggiore squillo, sicurezza negli accenti e fraseggio espressivo.
Lo stesso vale per la Giulietta di Alessandra Marianelli, che non sembra sempre omogenea. L’aria “Non san quant’io nel petto” di gusto belliniano e che richiama la Leonora dell’Oberto, avrebbe bisogno di maggiore robustezza tecnica, come pure il duetto con Edoardo “Giurai seguirlo in campo”.
Decisamente migliore è “Cara Giulia alfin ti vedo… Questo bene inaspettato”, pagina ricca di spunti lirici e patetici, che potrebbe affiancare i più bei concertati del Verdi degli anni di galera, dove la Signora Marianelli e il Signor Magrì donano buon esempio di canto spianato. Effettivamente la parte di Edoardo appare scritta per un tenore lirico leggero, che pur possedendo chiare connotazioni verdiane è permeata dell’eleganza del belcanto. Ivan Magrì possiede la giusta vocalità, intensa e squillante, ma esigerebbe di maggiore sicurezza negli appoggi, abilità nell’uso dei colori e padronanza del passaggio dal registro centrale a quello acuto.Accanto alle due coppie di innamorati sono il Signor La Rocca e il Barone di Kelbar, unici ruoli per basso buffo scritti dal Maestro di Busseto, di derivazione chiaramente donizettiana e a tratti rossiniana. Paolo Bordogna nei panni del tesoriere, oltreche essere allegro e divertente, dimostra di essere un interprete di altissimo livello, che seppur impegnato in gag comiche e situazioni spassose – tanto da condurre i recitativi con accento emiliano durante la serata del 9 febbraio – non si esibisce mai a discapito della voce, sempre sicura, brillante, piena, ricca di accenti e con buona emissione. Esperto del repertorio buffo preverdiano, ma già interprete di Fra Melitone ne La forza del destino, palesa una vocalità luminosa e squillante che lo renderebbe adeguato anche per l’ultimo capolavoro del Cigno. Lo affianca Andrea Porta, artista di indubbia qualità e di buon gusto, leggermente nascosto dalle innegabili doti del collega, col quale si trova impegnato in tre bellissimi duetti durante tutto l’arco dell’opera.
Completano il cast Ricardo Mirabelli e Seung Hwa Paek nei panni del Conte Ivrea e del servo Delmonte e il Coro del Teatro Regio di Parma, guidato da Martino Faggiani, mostra sempre uno standard elevato di preparazione, come pure l’Orchestra diretta da Donato Renzetti.
Nella recita del 9 febbraio il ruolo della Marchesa del Poggio è stato sostenuto da Davinia Rodriguez, che si trova in difetto a dover competere con l’eleganza e la presenza scenica di Anna Caterina Antonacci. Anche la parte vocale non è sgombra di imperfezioni, probabilmente dovute ad una tessitura troppo distante dalla sua vocalità.
Giulietta di Kelbar è interpretata da Arianna Donadelli, in possesso di una voce pulita seppur piccola. La cavatina sembra essere eseguita più lentamente rispetto al consueto, ma il giovanissimo soprano non si risparmia nelle agilità e nelle variazioni nel da capo.
La scelta di affidare numerosi ruoli ad artisti agli inizi della loro carriera, fa onore ai teatri che decidono di offrire queste opportunità, ma non pare particolarmente appropriata in una rappresentazione che deve entrare a far parte della prima e più importante enciclopedia verdiana, ripresa in alta definizione e registrata su supporti video digitali.
Teatro Regio di Parma, Stagione Lirica 2010
Un giorno di regno (Il finto Stanislao)
Melodramma giocoso in due atti su libretto di Felice Romani e Temistocle Solera dalla farsa "Le faux Stanislas" di Alexandre-Vincent Pineux-Duval
Musica di Giuseppe Verdi
Il Cavalier di Belfiore, sotto il nome di Stanislao Re di Polonia
Guido Loconsolo
Il Barone di Kelbar
Andrea Porta
La Marchesa del Poggio
Anna Caterina Antonacci (29 e 31/01)
Davinia Rodriguez (09/02)
Giulietta di Kelbar
Alessandra Marianelli (29 e 31/01)
Arianna Donadelli (09/02)
Edoardo di Sanval
Ivan Magrì
Il signor La Rocca
Paolo Bordogna
Il Conte d'Ivrea
Ricardo Mirabelli
Delmonte/un servo
Seung Hwa Paek
Orchestra e Coro del Teatro Regio di Parma (M.o del coro: Martino Faggiani)
Direttore
Donato Renzetti
Regia, scene e costumi
Pier Luigi Pizzi
Coreografie
Luca Veggetti
Luci
Vincenzo Raponi
Allestimento del Teatro Regio di Parma e Teatro Comunale di Bologna 1997
FOTO ROBERTO RICCI TEATRO REGIO DI PARMA
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